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mercredi, 23 novembre 2011

1930, strategie Usa contro l’Inghilterra

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1930, strategie Usa contro l’Inghilterra

“Piano Rosso” era un nome in codice per una guerra apocalittica con la Gran Bretagna e tutte le sue colonie, con bombardamenti aerei ed armi chimiche

di David Gerrie*

Ex: http://rinascita.eu/

I dettagli riguardanti un sorprendente piano militare americano per spazzare via gran parte dell’esercito britannico vengono oggi rivelati per la prima volta.
Nel 1930, ben 9 anni prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, l’America allestì dei piani miranti specificatamente ad eliminare tutte le truppe di terra britanniche in Canada e nel Nord Atlantico, distruggendo così la forza commerciale inglese e mettere in ginocchio il paese.
Movimenti di truppe senza precedenti furono messe in campo per i preparativi di un invasione del Canada, il che prevedeva massicce incursioni aeree su obiettivi industriali primari e l’uso di armi chimiche, quest’ultimo avallato al più alto livello nientemeno che dal leggendario generale Douglas MacArthur.
I piani, rivelati in un documentario di Channel 5, erano soltanto alcuni di un numero di possibili piani militari preparati contro un numero di potenziali nemici, incluse le isole caraibiche e la Cina. Ce ne era uno addirittura previsto per combattere un sollevamento interno nel territorio statunitense.
Alla fine non ci fu alcuna approvazione da parte del presidente Franklin Delano Roosevelt per ciò che era conosciuto come Piano di Guerra Rosso. Anzi, i due paesi divennero gli alleati più uniti durante il secondo conflitto, un alleanza occasionalmente difficile che continua ancora oggi.
Tuttavia è interessante che ci fossero persone all’interno dell’apparato politico e militare americano che pensavano che una tale guerra fosse fattibile.
Mentre all’esterno dell’America sia Churchill che Hitler pensavano che fosse una possibilità durante gli anni 30, un periodo di profonda incertezza politica ed economica.
I documenti con classificazione di alta segretezza rivelano che si dovevano fare grossi sforzi nei Caraibi e nella Costa Occidentale per bloccare qualsiasi controffensiva britannica dall’Europa, India o Australia.
Nel 1931, il governo americano autorizzò perfino l’eroe del volo transatlantico conquistatore di record e noto simpatizzante nazista Charles A. Lindbergh ad essere inviato sotto copertura come spia sulla sponda occidentale della Baia di Hudson per valutare la possibilità di usare aerei idrovolanti e individuare punti di bassa resistenza come potenziali teste di ponte. Quattro anni dopo, il Congresso Americano autorizzò la spesa di 57 milioni di dollari per la costruzione di tre piste di volo segrete nella parte americana del confine canadese, ricoprendo le piste di strisce erbose per nascondere il loro intento.
Tutti i governi ipotizzano piani prevedendo la “peggiore delle ipotesi” che vengono tenuti nascosti al pubblico.
Questi documenti sono stati scoperti nel profondo dell’American National Archives di Washington, D.C., una documentazione top-secret considerata un tempo la più delicata del mondo.
Era nel 1930 che l’America preparò un piano di guerra con “L’Impero Rosso”, quello più pericoloso. Ma l’avversario americano in questa guerra non era la Russia o il Giappone e nemmeno la Germania Nazista che stava per germogliare.
Piano Rosso era un nome in codice per una guerra apocalittica con la Gran Bretagna e tutte le sue colonie. Dopo l’Armistizio del 1918 e per tutti gli anni 20, lo storico sentimento anti-britannico americano, ereditato dal XIX secolo, stava pericolosamente aumentando a causa del 9 milioni di sterline che l’Inghilterra doveva agli Stati Uniti per il loro intervento nella Grande Guerra.
Il sentimento britannico verso l’America era reciproco.
Agli inizi degli anni ‘30 l’America vide con inquietudine l’aumentare dei simpatizzanti nei confronti del Nazismo che marciavano, inneggiando a Hitler, a New York da Park Avenue al Madison Square Garden.
Oltre l’Atlantico la Gran Bretagna aveva il più grande impero al mondo, per non parlare della più potente forza navale.
Con questa panoramica, alcuni americani vedevano il loro paese emergere come una potenza mondiale di spicco e sapevano fin troppo bene come l’Inghilterra aveva spento in passato tali velleità: con la guerra e schiacciandole. In questo scenario l’America si vedeva perdente.
Nel 1935 l’America allestì le sue più grandi manovre mai effettuate prima, movimentando truppe e installando depositi di munizioni a Fort Drum, a mezzora di strada dal confine orientale canadese.
Da qui sarebbe stato lanciato il primo attacco su cittadini britannici, con la città di Halifax in Nuova Scozia come primo obiettivo.
“Questo avrebbe significato sei milioni di soldati che combattevano sul confine marittimo orientale americano”, dice Peter Carlson, editore della rivista American History.
 
Piano di guerra rosso, verde, viola…

Durante gli anni 20 e 30 gli Stati Uniti usarono vari codici di colore per identificare i piani bellici con i potenziali avversari.
Molti di questi giochi di guerra furono sottoposti alla Divisione informativa dell’esercito da ufficiali di stanza all’epoca.
Molte di queste erano esercitazioni ipotetiche e fornirono soltanto ampi profili strategici. Comunque il progetto era considerato dall’esercito un buon addestramento per il personale.
“Sarebbe stato come a Verdun” alludendo al feroce conflitto fra le truppe tedesche e quelle francesi nel 1916 che lasciò sul campo 306.000 morti.
Mentre la gente considerava una guerra con gli Stati Uniti inconcepibile, perfino Winston Churchill pensava che non lo fosse.
“L’America si sentiva come se l’Inghilterra l’avesse spinta sotto l’autobus per poter rimanere la protagonista principale” dice il prof. Mike Vlahos della scuola navale di guerra statunitense.
“Gli Stati Uniti furono costretti a prendere in considerazione ogni misura per tenere a bada la Gran Bretagna”.
Perfino Hitler riteneva che una tale guerra fosse inevitabile ma sorprendentemente voleva che a vincere fosse l’Inghilterra, credendo che questo sarebbe stato il miglior risultato per la Germania poiché la Gran Bretagna avrebbe potuto allearsi con lui per attaccare gli Stati Uniti.
Usando modelli disponibili per questa guerra, i moderni esperti navali e dell’esercito oggi ritengono che la conseguenza più probabile di un simile conflitto sarebbe stata una massiccia battaglia navale nel Nord Atlantico, con poche reali vittime ma con l’esito che la Gran Bretagna avrebbe ceduto il Canada agli Stati Uniti in modo da conservare le proprie vitali rotte commerciali.
Comunque, il 15 giugno 1939, lo stesso anno dell’invasione tedesca della Polonia, una comunicazione di servizio interna americana ritiene che questi piani di invasione siano “totalmente inapplicabili”, ma che tuttavia “devono essere tenuti in considerazione” per il futuro. Questo viene ora visto come l’inizio e la ragione principale che stanno dietro alle “speciali relazioni” fra i due paesi.
 
Isolazionismo, prosperità e declino: l’America dopo la Prima Guerra Mondiale

Come succede a varie nazioni strettamente alleate, la Gran Bretagna e l’America hanno a lungo condiviso un “rapporto speciale”.
Iniziando da Churchill e Roosevelt, si passò poi alla Thatcher e Reagan, Clinton e Blair, la Regina e Obama.
Ora sappiamo che Roosevelt alla fine bocciò il piano di invasione dell’Inghilterra come “totalmente inapplicabile”. Ma quanto era speciale quel rapporto nel decennio precedente alla Seconda Guerra Mondiale?
All’inizio degli anni 20 l’economia americana attraversava il suo boom. I “Ruggenti Anni Venti” furono un periodo di una sempre maggior spesa al consumo e produzione di massa; ma dopo la Prima Guerra Mondiale, l’opinione pubblica americana diventava sempre più isolazionista. Ciò venne evidenziato col suo rifiuto di far parte della Lega delle Nazioni, la cui missione principale era quella di mantenere la pace mondiale.
La politica estera americana continuava a tagliarsi fuori dal resto del mondo durante quel periodo imponendo dazi sulle importazioni per proteggere i produttori nazionali.
Milioni di persone, per lo più dall’Europa, in precedenza furono le benvenute in America alla ricerca di una vita migliore. Ma nel 1921 furono introdotte le quote e nel 1929 soltanto 150.000 immigrati all’anno potevano entrare negli Usa.
Dopo un decennio di prosperità ed ottimismo, l’America cadde nella disperazione quando la Borsa affondò nell’ottobre del 1929, dando inizio così alla Grande Depressione.
Le conseguenti durezze economiche e la disoccupazione di massa segnarono il destino nella rielezione del presidente Herbert Hoover e così Franklin Delano Roosevelt conquistò la vittoria elettorale nel Marzo del 1933.
Di fronte a lui c’era un’economia sull’orlo del collasso: erano state chiuse banche in 32 stati e circa 17 milioni di persone erano state licenziate, quasi un terzo della forza lavorativa.
Mentre le tensioni in Europa salivano per la presa del potere dei Nazionalsocialisti, il Congresso introdusse una serie di Atti di Neutralità per impedire all’America di venire coinvolta in conflitti esterni.
Nonostante Roosevelt non fosse d’accordo con questa politica, l’accettò perché aveva ancora bisogno dell’appoggio del Congresso per i suoi programmi del New Deal, progettati per trascinare il paese fuori dalla Depressione.
Nel 1937 la situazione in Europa peggiorava ed iniziò in Asia la seconda guerra fra Cina e Giappone.
Un leggero cambiamento nell’opinione pubblica permise limitati aiuti americani agli Alleati.
L’attacco giapponese a Pearl Harbor nel dicembre del 1941 cambio però tutto.
 
 
Traduzione dal Daily Mail a cura di: Gian Franco Spotti
 


20 Ottobre 2011 12:00:00 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=11022

mardi, 22 novembre 2011

Le franc-CFA africain est une épée de Damoclès pour la France

 

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Dietmar HOLZFEIND:

 

Le franc-CFA africain est une épée de Damoclès pour la France

 

L’établissement eurocratique cherche depuis deux ans déjà à postposer la faillite définitive de l’Etat grec. Les responsables de la “zone euro” ouvrent sans cesse de nouveaux “parapluies protecteurs” qui ne rapportent finalement qu’aux seules banques. Dans les pays concernés, les citoyens sont priés de cracher au bassinet via des mesures d’austérité rigoureuses et les économies nationales se voient étranglées. La charge qu’impliquent ces “parapluies protecteurs” incombe surtout à la France et à l’Allemagne. Or cette charge va avoir des effets considérables.

L’élargissement planifié du fonds de sauvetage de l’euro, l’EFSF, menace, selon l’avis émis par l’agence de “rating” Standard & Poor, la solvabilité et la crédibilité de l’Allemagne. C’est bien ce qu’a dit récemment David Beers, responsable auprès de cette agence d’évaluer la crédibilité des Etats. La prime de risque sur le marché, pour l’Allemagne et pour tous les dérivés en cas de perte de crédit, a quasiment triplé depuis le début du mois de juillet, vu ce nouveau souci. Nous débouchons là sur une situation problématique qu’avaient bel et bien prévu, et depuis longtemps, quelques économistes lucides. Toutes les prévisions estiment que les crédits seront bientôt indisponibles, ce qui augmente simultanément le coût du service de l’intérêt sur les marchés nationaux. Des sommes toujours croissantes au sein des budgets en cours doivent être mobilisées dans ce cadre, et manquent cruellement ailleurs, que ce soit pour réparer des routes en mauvais état ou pour soutenir les familles.

politique internationale,france,europe,euro,affaires européennes,afrique,affaires africaines,monnaie,franc-cfa,crise financière,crise économique,crise monétaireAu cours de ces dernières semaines, les rapports se sont accumulés pour signaler que la France aussi commence à ressentir les problèmes. De nombreuses banques françaises s’étaient trop massivement couvertes par des emprunts grecs à intérêts élevés, qui viennent de perdre plus de la moitié de leur valeur. La nécessité de les amortir se fait cruellement sentir mais le gouvernement français a expliqué déjà à plusieurs reprises qu’en cas de nécessité il contribuerait à l’amortissement de tous les instituts en difficulté, ce qui grève lourdement la solvabilité de la France.

Mais il y a un autre danger qui guette la France et les autres pays de la zone euro, et que l’on n’a guère pris en compte jusqu’ici: il vient d’Afrique. Lorsqu’en 1999 l’euro est devenue la monnaie de crédit et, trois ans plus tard, le moyen de paiement, cela signifiait simultanément la fin du franc français. Pour Paris, cela constituait un problème, vu les anciennes colonies françaises d’Afrique occidentale. Quelques pays francophones de cette région du monde s’étaient regroupés au sein de l’UEMOA (Bénin, Burkina Faso, Côte d’Ivoire, Guinée-Bissau, Mali, Niger, Sénégal, Togo) et de la CEMAC (Guinée Equatoriale, Gabon, Cameroun, Congo, Tchad, République centre-africaine). Leur monnaie commune était le franc-CFA. Celui-ci était lié au franc français. Comme la France ne voulait pas perdre son influence dans ses anciennes colonies, le Président socialiste François Mitterrand s’était engagé à ce que la monnaie commune africaine soit liée à l’euro, après la disparition du franc français.

Le Conseil des Communautés Européennes prit une décision en ce sens le 23 novembre 1998, englobant également le franc des Comores. Dans le document signé à l’époque par le Président de ce Conseil, le ministre socialiste des finances de la République d’Autriche, Rudolf Edlinger, il était stipulé que la convertibilité du franc-CFA et du franc des Comores serait garantie par une obligation budgétaire contractée par l’Etat français.

Les autorités françaises ont assuré leurs partenaires européens, à l’époque, que les accords avec l’UEMOA, la CEMAC et les Comores n’auraient aucun effet financier sur la France elle-même.

Mais si une nouvelle crise économique frappe l’Europe, et on peut supposer qu’il en sera ainsi, et si d’aventure les pays africains, dont question, connaissent à leur tour des problèmes, alors que leur commerce est tourné à 60% vers l’Europe, la France aura un boulet supplémentaire au pied, qui pourra l’entraîner dans l’abîme.

Dietmar HOLZFEIND.

(article paru dans “zur Zeit”, Vienne, n°45/2011, http://www.zurzeit.at ).

 

lundi, 21 novembre 2011

16 cose che la Libia non vedrà mai più

16 cose che la Libia non vedrà mai più

1. Non esiste bolletta dell’energia elettrica in Libia; la fornitura di elettricità è gratuita per tutti i suoi cittadini.
2. Non si applicano tassi di interesse sui prestiti, le banche in Libia sono nazionalizzate e i prestiti vengono erogati a tutti i suoi cittadini ad interessi zero per legge.
3. Avere una casa è considerato in Libia un diritto umano.
4. Tutte le nuove coppie in Libia ricevono 60.000 Dinari (50.000 dollari statunitensi) dal governo per l’acquisto della prima casa, in modo da aiutare le nuove famiglie.
5. Educazione e cure mediche sono gratuite in Libia. Prima di Gheddafi solo il 25% dei Libici risultava istruito. Oggi la percentuale è pari all’83%.
6. Per i Libici interessati ad avviare una attività agricola, il governo fornisce a titolo gratuito terreno agricolo, un fabbricato rurale, macchinari, sementi e scorte animali.
7. Se i Libici non riescono a trovare in patria le strutture educative o le cure mediche di cui necessitano, il governo mette loro a disposizione una somma per soddisfare questi bisogni all’estero, non solo pagando le spese, ma donando ulteriori 2.300 dollari al mese per le spese di alloggio e l’uso di un’automobile.
8. Se un cittadino libico deve acquistare un’automobile, il governo interviene coprendo il 50% del costo.
9. Il prezzo della benzina in Libia è pari a 0,14 dollari al litro.
10. La Libia non ha debito estero e le sue riserve, pari a 150 miliardi di dollari, sono oggi interamente congelate.
11. Se un cittadino libico non riesce a trovare lavoro dopo la laurea, lo Stato gli/le paga un salario pari al valore medio del salario relativo alla professione esercitabile, fino a che il disoccupato non trova lavoro.
12. Una quota di ogni vendita petrolifera viene accreditata direttamente sui conti bancari di tutti i cittadini libici.
13. Una madre che mette al mondo un figlio riceve dal governo una somma pari a 5.000 dollari.
14. 40 pagnotte di pane in Libia costano 0,15 dollari.
15. Il 25% dei Libici è in possesso di un diploma universitario.
16. Gheddafi ha portato a compimento il maggiore progetto di irrigazione al mondo, noto come progetto del “Grande Fiume Artificiale”, per rendere l’acqua disponibile anche nei territori desertici.

Fonte: disinfo

[Traduzione di L. Bionda]

La chute de Berlusconi annonce la liquidation de l’ENI

 

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Filippo GHIRA:

La chute de Berlusconi annonce la liquidation de l’ENI

Washington et Londres veulent que l’Italie n’ait plus ni politique énergétique propre ni souveraineté nationale

(...) Notre pays est un pays frontière, un pont entre l’Europe et l’Afrique du Nord: depuis 1945, il a cherché, sans vraiment réussir, à reprendre pied en Afrique et à se tailler un espace autonome dans toute l’aire méditerranéenne. Bettino Craxi, par exemple, avait réussi à renouer des contacts assez étroits avec les pays du Maghreb et avec la Palestine de Yasser Arafat. Même si l’Italie est restée fidèle à l’Alliance atlantique —elle ne pouvait pas faire autrement— elle a tout de même défié les Etats-Unis à l’occasion de la prise du navire Achille Lauro et lors de l’affaire Sigonella, revendiquant fièrement sa souveraineté nationale (...). Berlusconi a accueilli dans son parti bon nombre de cadres de l’ancien PSI de Craxi, ce qui avait fini par générer une approche similiaire des rapports italo-arabes. Berlusconi avait ainsi réussi à restabiliser les rapports entre l’Italie et la Libye de Khadafi, mais si on peut juger ridicule ou embarrassante la performance de l’an passé sur la Piazza di Siena. L’Italie avait récemment pris acte du fait que la Libye, qui fut une colonie italienne, est un pays voisin avec lequel il faut avoir —quasi physiologiquement— des rapports très amicaux, qui vont bien au-delà de simples fournitures de gaz ou de pétrole. Ce n’est donc pas un hasard si ce furent nos propres services militaires (le SID) qui aidèrent Khadafi à prendre le pouvoir en 1969; ce n’est pas un hasard non plus si ce sont d’autres services italiens (le SISMI) qui ont plusieurs fois sauvé le Colonel de plusieurs tentatives de coup d’Etat, successivement soutenus par l’Egypte, les Etats-Unis ou Israël.

La récente révolution libyenne a été, en réalité une révolte financée par Washington, Londres et Paris. La fin de Khadafi, qui en a été la conséquence, a certainement été pour Berlusconi une sorte d’avertissement. Depuis la chute du Tunisien Ben Ali, que le SISMI avait aidé à monter au pouvoir, à la suite d’une intrigue de palais, le message est donc bien clair: l’italie n’a plus aucun appui sur son flanc méridional; il ne lui reste plus que la seule Russie. Et ce n’est donc pas un hasard non plus si Poutine lui-même et Gazprom, à la remorque de l’ENI, sont entrés en force en Libye pour y développer la production de gaz et de pétrole. Les tandems italo-libyen et italo-russe, consolidés par Berlusconi, ont permis de forger des liens qui risquent d’être réduits à néant, avec le nouveau gouvernement technocratique de l’Italie qui sera plus orienté dans un sens “atlantiste” et “nord-européen”.

Les liens, y compris les liens personnels, que Berlusconi avait réussi à tisser avec Poutine, ne doivent pas être simplement banalisés sous prétexte qu’ils concernent la vie privée des deux hommes d’Etat. En réalité, Berlusconi favorisait la pénétration d’ENI et d’ENEL en Russie car il se rendait parfaitement compte qu’il fallait à tout prix renforcer des liens avec le premier pays au monde disposant encore de gisements jusqu’ici inexploités de gaz et de pétrole. Cette position économico-politique était partagée par Prodi qui avait accompagné à Moscou les dirigeants de l’ENI pour aller y signer des contrats de fourniture de gaz, valables jusqu’en 2040. On y avait également signé un contrat ENEL visant l’acquisition de l’OGK-5, une des premiers groupes énergétiques nationaux.

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Autre initiative de Berlusconi et de l’ENI, qui fut très peu appréciée par Londres et par Washington: celle de torpiller la réalisation du fameux gazoduc “atlantiste”, Nabucco, que cherchaient à nous imposer les Etats-Unis pour pouvoir encercler la Russie par le Sud. Ce gazoduc, incroyable mais vrai, recevait de solides financements de l’UE. Cette initiative, patronnée par les Américains, entendait faire transiter par la Turquie et la Géorgie le gaz de l’Azerbaïdjan, pour l’acheminer ensuite vers la bifurcation de Baumgarten en Autriche, où arrivent plusieurs gazoducs russes. Berlusconi et l’ENI, au contraire, soutenaient le gazoduc “South Stream” qui part de la Russie, traverse la Mer Noire pour arriver en Bulgarie et passer par la Grèce et se diriger ensuite vers l’Italie et l’Autriche. Cette entreprise peut franchement être qualifiée d’ “eurasiatique”, d’autant plus qu’elle bénéficie d’une forte participation allemande. Mais elle est peu appréciée par les Britanniques et les Américains. Ces deux pays ne peuvent accepter qu’une nation européenne, quelle qu’elle soit, puisse normaliser des rapports trop étroits avec la Russie sur le plan énergétique, alors qu’un rapport énergétique avec la Russie est assurément plus “physiologique” que tous ceux que veulent nous imposer les Etats-Unis avec les pays arabes producteurs de pétrole qui sont leurs satellites.

La Grande-Bretagne, elle, a toujours voulu se maintenir en Méditerranée. Elle profite aujourd’hui de l’attaque de l’OTAN contre la Libye pour y revenir en force. Pour s’y asseoir encore plus solidement, elle oeuvre contre Berlusconi et contre l’ENI via les gnomes de la City. Les spéculations financières auxquelles celle-ci s’adonne, en parfaite syntonie avec Wall Street, ont fait le siège de notre pays dans le but de jeter le doute sur sa solvabilité et obliger ainsi le gouvernement en place à revoir complètement ses programmes financiers futurs. Simultanément, ces spéculations ont pour objectif de faire passer l’idée que le gouvernement en place est trop faible, s’est disqualifié, et s’avère dès lors incapable d’assainir les comptes publics et de redonner confiance au monde de la finance. Tout cela n’est que la raison apparente de la crise italienne. En réalité, nous faisons face à la tentative  —qui réussira probablement vu que c’est Mario Monti qui remplacera sans doute Berlusconi— de parachever le processus commencé en 1992 avec la fameuse Croisière du Britannia.

Le 2 juin 1992, jour de la Fête de la République, alors que la campagne “Mani pulite” (= “Mains propres”) battait son plein et donnait d’ores et déjà l’impression que la Démocratie Chrétienne (DC) et le PSI, piliers du système politique en place à l’époque, seraient bientôt balayés, une impressionnante brochette de managers des entreprises à participation étatique accepte de s’embarquer sur le yacht royal britannique pour une croisière d’un seul jour. Au cours de cette croisière, organisée par “British Invisible”, une société qui promeut les produits “made in Britain”, on explique aux managers des entreprises d’Etat  italiennes qu’il est nécessaire de privatiser. A bord, nous trouvions Mario Draghi, à l’époque directeur général du Trésor: ce fut lui qui géra par la suite les privatisations; entretemps, il prononça un discours d’introduction et fut le premier à partir. La suite des événements prouva qu’il ne s’est pas agi d’une simple conférence sur les privatisations, qui n’avait d’autres but que d’être prononcée: en automne de la même année, la City spécule contre la lire italienne qui doit être dévaluée de 30%, ce qui permettait de vendre plus aisément diverses entreprises publiques. Par la suite, avec les gouvernements Prodi, D’Alema et Amato, 70% des parts de l’ENI et de l’ENEL sont jetés sur le marché, prévoyant du même coup que 30% de la masse restante, c’est-à-dire 21% du total, seraient offerts aux investisseurs internationaux, c’est-à-dire anglo-américains, ceux-là mêmes qui cherchent aujourd’hui à mettre la main sur les 30% restants de l’ENI. Le gouvernement Monti sera très probablement fort heureux de les vendre, en prétextant de pouvoir ainsi diminuer la dette publique. On peut aussi imaginer que le gouvernement Monti bénéficiera de l’appui de Fini, le postfasciste devenu philo-atlantiste, ainsi que de celui de Casini, qui représente l’héritage de la DC au sein du monde politique italien d’aujourd’hui. Cette démocratie chrétienne s’était toujours opposée à la politique autonome de l’ENI au temps d’Enrico Mattei qui, lui, voulait assurer l’indépendance énergétique et préserver la souveraineté nationale de l’Italie.

Filippo GHIRA.

( f.ghira@rinascita.eu ).

(article paru dans “Rinascita”, Rome, 12 novembre 2011; http://rinascita.eu ).

dimanche, 20 novembre 2011

L’Arabia Saudita gioca un ruolo chiave nell’alleanza anti-iraniana degli Stati Uniti

 

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L’Arabia Saudita gioca un ruolo chiave nell’alleanza anti-iraniana degli Stati Uniti

 

Jean Shaoul, Global Research,

Ex: http://aurorasito.wordpress.com/

World Socialist Web Site

Il ruolo chiave dell’Arabia Saudita nel tentativo di destabilizzare il regime baathista di Bashir Assad, è al centro del tentativo di Washington di mettere insieme una alleanza anti-iraniana, più in generale, volto a reprimere le masse mediorientali.
L’Arabia Saudita, principale produttore ed esportatore di petrolio al mondo, ha le maggiori riserve di petrolio conosciute al mondo. Questo ha portato una ricchezza incalcolabile alla famiglia regnante saudita e ai suoi oltre 20.000 capi. La Casa dei Saud mantiene il potere con un sistema di repressione brutale che vieta ogni  protesta pubblica, sciopero e manifestazione di dissenso, combinata con la sua difesa di una versione estrema dell’Islam sunnita, il wahhabismo.
Dal 10 al 15 per cento della popolazione, è sciita ed è perseguitata. Questo crea profonde tensioni sociali, tanto più che gli sciiti vivono principalmente nella Provincia Orientale, dove si trova il 90 per cento dei 260 miliardi di barili di riserve petrolifere accertate saudite.
La maggior parte della popolazione ha tratto scarso beneficio dalla ricchezza petrolifera. La disoccupazione tra gli uomini sauditi è ufficialmente all’11,6 per cento, ma è più volte questa cifra. Un gran numero di donne è escluso dal mercato del lavoro. I giovani sotto i 30 anni, che costituiscono i due terzi della popolazione di 26 milioni di abitanti, sono colpiti; il 40 per cento dai 20 ai 24enni è disoccupato. Anche i laureati non trovano lavoro, non possono sposarsi e mettere su casa.
L’aumento del prezzo del petrolio ha creato 2,2 milioni nuovi posti di lavoro nel settore privato, ma solo il 9 per cento è andato a cittadini sauditi. Quasi 6 milioni di lavoratori, o l’80 per cento della forza lavoro, non sono cittadini, ma soprattutto lavoratori migranti provenienti dal Sud o Sud-Est asiatico, che lavorano per una miseria, senza diritti o protezione.
A gennaio, a seguito dei movimenti sociali di massa in Tunisia ed Egitto, scoppiò la protesta per chiedere la liberazione dei “prigionieri politici dimenticati“, che sono stati imprigionati per 16 anni senza accuse o processi.  Ciò ha indotto il re Abdullah a tornare a casa subito, dopo mesi di ricovero negli Stati Uniti.
Un punto di riferimento delle proteste è stata Qatif, una zona prevalentemente sciita nella parte orientale petrolifera del paese. Proteste, tutte ignorate dai media internazionali, sono in corso da mesi, con i dimostranti che denunciano l’intervento militare saudita nel vicino Bahrain, chiedono la liberazione di persone arrestate durante le proteste, e denunciano il regime di oppressione delle donne.
Essi sono stati colpiti dalla repressione e da un massiccio pacchetto di riforme da 130 miliardi di dollari USA, un importo pari al 36 per cento del Pil saudita. Il pacchetto comprendeva un salario minimo mensile di 3.000 riyal (800 dollari), due mesi di paga extra per i dipendenti pubblici, più borse di studio agli studenti universitari, l’indennità di disoccupazione di circa 260 dollari al mese, 500.000 case a prezzi accessibili, 4,3 miliardi di dollari in investimenti nelle strutture mediche, 60.000 posti di lavoro nelle forze di sicurezza e una commissione anti-corruzione.
Tale generosità è sostenibile soltanto se il prezzo del petrolio, attualmente a più di 85 dollari al barile, rimane alto.
L’aumento della spesa sociale si aggiunge a un pesante disegno di legge sulla difesa, che trattiene circa un terzo del bilancio saudita. Questo è destinato ad aumentare, in linea con l’atteggiamento sempre più bellicoso del regno verso l’Iran, col suo coinvolgimento nello Yemen e in Pakistan, e col finanziamento segreto delle forze sunnite in Iraq e in Siria. Inoltre, l’Arabia Saudita è impegnata a pagare la maggior parte dei 25 miliardi di dollari del Gulf Cooperation Council (GCC), con cui si è impegnata ad acquietare il malcontento sociale in Bahrain, Egitto, Giordania e Oman. Riyadh fornisce anche grosse somme ai palestinesi e all’Afghanistan.
La morte, il mese scorso, dell’86enne principe ereditario Sultan bin Abdul Aziz, ha sollevato preoccupazioni circa il futuro politico del regno. L’88enne re Abdullah è in condizioni di salute estremamente precarie. Abdullah ha ritardato il funerale del principe Sultan, fino a quando ha ottenuto l’accordo del Consiglio dell’eredità, composto da rappresentanti di ciascuna delle famiglie degli Ibn Saud, fondatrice del regno, nel nominare il principe Nayif, ministro degli interni, nuovo principe ereditario. Ma Nayif, 78 anni, soffre di cattiva salute e non c’è accordo nella nuova generazione per la successione.
L’Arabia Saudita ha funzionato come perno centrale della reazione sociale durante le proteste di massa che hanno scosso il Medio Oriente, quest’anno. Il suo obiettivo principale è distruggere tutte le proteste prima che si diffondano in Arabia Saudita e negli altri Stati del Golfo, che affrontano tutte il dissenso della propria irrequieta popolazione sciita.
Furiosa verso Washington, che ha ritirato il proprio sostegno all’egiziano Hosni Mubarak e all’ex presidente della Tunisia, Zine al-Abidin Ben Ali, che ha accolto, l’Arabia Saudita ha aiutato a schiacciare le proteste contro il vicina Bahrain della dinastia al-Khalifa.
Riyadh ha anche sostenuto il re di Giordania Abdullah, che affronta le proteste in corso, guidate dai Fratelli Musulmani, con contanti e l’offerta di aderire al GCC, incluso il suo supporto militare.
Nel vicino Yemen, Riyadh ha appoggiato la 30ennale dittatura del presidente Ali Abdullah Saleh, contribuendo a reprimere la filiale locale di al-Qaida e i ribelli sciiti, vicino al confine con l’Arabia Saudita. L’elite saudita è preoccupata che le proteste prolungate in Yemen si riversino oltre il confine. Nonostante cerchino di far dimettere Saleh attraverso un accordo mediato dal GCC, i sauditi gli hanno permesso di tornare nello Yemen, dopo mesi durante i quali era a Riyadh, per curarsi delle ferite subite a seguito di un tentativo di assassinio. Questo perché non possono contare su alcun successore.
L’Arabia Saudita ha inoltre collaborato agli “omicidi mirati” degli Stati Uniti di Anwar al-Awlaki, un religioso statunitense musulmano, nello Yemen, e più tardi di suo figlio.
La dinastia saudita gareggia con l’Iran per l’influenza regionale. Usa la sua tutela di due dei tre luoghi sacri dell’Islam, Mecca e Medina, per sostenere la sua pretesa di difendere la fede musulmana, sostenendo un conflitto religioso contro gli “eretici” sciiti, con il sostegno delle altre monarchie del Golfo.
Per decenni, Riyadh ha usato la sua enorme ricchezza petrolifera per coltivare i religiosi sunniti e i gruppi salafiti, e le campagne di finanziamento dell’educazione religiosa e i programmi televisivi trasmessi in tutto il Medio Oriente e l’Asia centrale. Ha scatenato l’ostilità verso le minoranze sciite, per dividere ogni dissenso interno, impedendo la crescita di partiti politici sciiti  filo-iraniani e contrastare l’influenza iraniana. Ed incolpa di routine l’”interferenza” iraniana in Bahrain e nello Yemen, per i disordini che vi sono, ma senza produrre alcuna prova.
In Libano, i sauditi sostengono la fazione filo-occidentale di Saad Hariri e Rafik Hariri, suo padre ed ex primo ministro assassinato nel 2005, quale un baluardo contro l’influenza siriana e iraniana. Hezbollah, il partito sciita appoggiato da Siria e Iran, ha un ampio richiamo popolare al di fuori del Libano, per la sua opposizione ad Israele.
Nel 2002, l’allora re Fahd aveva presentato il suo piano per normalizzare le relazioni con Israele, in cambio di uno stato palestinese accanto a Israele, entro i confini del 1967, per disinnescare la rabbia diffusa in tutta la regione. La roadmap del presidente George W. Bush, annunciata nel 2002, è stato un tentativo di contrastare l’impatto politico dell’invasione dell’Iraq nel 2003, da cui l’allora principe ereditario Abdullah aveva messo in guardia, poiché avrebbe rafforzato l’Iran.
L’Arabia Saudita è implacabilmente ostile al governo iracheno, che è vicino all’Iran. Riyadh s’è rifiutata di inviare un ambasciatore a Baghdad e insiste sul rimborso dei suoi 30 miliardi di dollari di prestito dati a Saddam Hussein per perseguire gli otto anni di guerra contro l’Iran, negli anni ’80.
Secondo il Dipartimento di Stato USA, nei documenti pubblicati da Wikileaks, il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki ha accusato l’Arabia Saudita di “fomentare conflitti settari” e di “finanziamento di un esercito sunnita.” Il suo intervento in Iraq rischia di degenerare dopo che le truppe USA si ritireranno, alla fine di quest’anno.
Riyadh ha giocato un ruolo chiave nell’annuncio della Lega Araba, il 13 marzo, di supporto a una ‘no-fly zone’ sulla Libia, che ha aperto la strada alla guerra della NATO per rimuovere il colonnello Muammar Gheddafi e installare il Consiglio di transizione nazionale fantoccio.
Negli ultimi anni, Riyadh ha riparato i rapporti con la Siria, mentre Damasco cercava relazioni più strette con Washington. Insieme, i due paesi hanno cercato di impedire che le tensioni in Libano degenerassero in un conflitto armato. Ma mentre Riyadh aveva originariamente sostenuto il presidente Bashar al-Assad contro il movimento di protesta guidato soprattutto dalla Fratellanza musulmana e dai salafiti, per mantenere la stabilità nella regione, ha cambiato bandiera, vedendo nei disordini  un’opportunità per ridurre l’influenza dell’Iran in Medio Oriente.
Lo scorso agosto, ha ritirato il proprio ambasciatore da Damasco. Alcuni degli oppositori, molti armati, hanno il supporto dell’Arabia Saudita e delle forze intorno l’ex primo ministro Saad Hariri in Libano. Sono rappresentati nel Consiglio nazionale siriano, istituito con il sostegno della Turchia, nel tentativo di fornire un governo embrionale in esilio siriano e legittimare l’intervento turco per conto delle potenze occidentali.
In Pakistan, Riyadh è stato uno dei principali donatori di Islamabad, secondo solo agli Stati Uniti, e appoggia i suoi sforzi verso la riconciliazione con i taliban in Afghanistan, a scapito delle fazioni rivali più vicine a Teheran. Secondo il Center for Global Development, Riyadh fornito al Pakistan quasi 140 milioni di dollari all’anno tra il 2004 e il 2009. L’anno scorso, Islamabad ha dato 100 milioni di dollari per gli aiuti sul diluvio, e quest’anno altri 114 milioni di dollari.

 

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

samedi, 19 novembre 2011

Scandale à la mosquée de Cologne

Scandale à la mosquée de Cologne

L'architecte en charge de la construction de l'édifice a été remercié après la découverte d'étranges symboles gravés sur les murs.

La construction de la nouvelle mosquée de Cologne a été arrêtée en urgence il y a quelques jours, stoppée nette par le scandale. Son architecte, licencié depuis, est accusé d'avoir caché des symboles chrétiens - de petites croix et le monogramme grec du Christ - partout dans le bâtiment.

Aucun des symboles en question ne figurant sur les plans de l'édifice, la presse locale a très largement pris fait et cause pour l'architecte et choisi de tourner au ridicule la décision de le licencier et de stopper les travaux.

"Jetons un second coup d’œil aux plans", écrit Lucas Wiegelmann, du quotidien allemand Die Welt. "La salle de prière est orientée vers l'Est, officiellement parce que c'est la direction de la Mecque - mais Jérusalem et le tombeau du Christ ne sont-ils pas aussi dans cette direction ? Et la coupole, ne peut-on pas y voir la forme de deux poissons ? Le poisson était le symbole secret des premiers chrétiens. Si DITIB [l'association turque qui finance la construction de la mosquée, NDLR] voit les choses de cette manière, autant détruire le bâtiment et le reconstruire entièrement".

 

Una lettura geopolitica della Crisi

Una lettura geopolitica della Crisi

di Pierluigi Fagan


Fonte: megachip [scheda fonte]

Un possibile percorso interpretativo della crisi, normalmente trascurato dalla principale corrente dei media, potrebbe passare anche attraverso una lettura delle dinamiche che intercorrono tra blocchi geopolitici.

Osservando una sorta di foto panoramica coglieremo meglio quegli elementi che  nelle immagini troppo di dettaglio della crisi tendono a sfuggire. 

Seguiamo questa ipotesi:

  1. Con il peggiorare della situazione spagnola e francese (ma è di oggi l’attacco al Belgio, all’Olanda e all’Austria) è ormai chiaro che la crisi di sfiducia dei mercati è sistemica: è nei confronti dell’Euro – Europa e non nei confronti di uno o due paesi.
  2. Chi sono i “mercati”? Di essi si possono dare due descrizioni. La prima è quella tecnica, ovvero la sommatoria di singole azioni di investimento prese in base alle informazioni disponibili. I mercati sono storicamente affetti da sindrome gregaria, per cui se una massa critica (quantità) o qualificata (qualità) si muove in una direzione, tutto il mercato la segue. Ciò adombra una seconda descrizione possibile ovvero quella dell’interesse strategico che una parte dotata di impatto quantitativo e qualitativo potrebbe avere, trascinando con sé il resto del mercato. I mercati, di per loro, non hanno interesse strategico: si muovono nel breve termine. Alcuni operatori di mercato però (banche e fondi anglosassoni) potrebbero avere interessi strategici e soprattutto essere in grado di perseguirli sistematicamente (rating, vendite alla scoperto, calo degli indici, rialzo dello spread, punizioni selettive, operazioni sui CDS, manovrare non solo i mercati ma - data l’importanza che questi hanno - l’intera vicenda sociale e politica di una o più nazioni. Tali comportamenti non solo perseguono un vantaggio a lungo periodo di tipo geostrategico ma garantiscono anche di far molti soldi nel mentre lo si persegue, una prospettiva decisamente invitante ).
  3. Quale potrebbe essere l’interesse strategico che muove alcuni operatori di mercato ? Decisamente lo smembramento e il depotenziamento europeo. Colpire l’Europa significa: 1) eliminare il concorrente forse più temibile per la diarchia USA – UK, tenuto conto che con la Cina c’è poco da fare; 2) riaprirsi la via del dominio incondizionato del territorio europeo secondo l’intramontabile principio del “divide et impera”; 3) eliminare una terza forza (USA – ( EU ) – Cina) riducendo la multipolarità a bipolarità, una riduzione di complessità. Male che vada si sono comunque fatti un mucchio di soldi e il dettato pragmatista è salvo.
  4. Su cosa contano i mercati ? Sulla oggettiva precarietà della costruzione europea al bivio tra il disfacimento e un improbabile rilancio strategico verso progetti federali. Sulla distanza tra opinioni pubbliche e poteri politici che rende appunto “improbabile” un rilancio dell’iniziativa strategica europeista proprio nel momento di maggior crisi, dove si innalzano non solo gli spread ma anche la paura, l’ottica a breve, la difesa del difendibile ad ogni costo, la rinascenza dell’egoismo nazionale. Sulla oggettiva asimmetria tra Germania e resto d’Europa, una asimmetria strutturale che fa divergere gli interessi, ma più che altro la scelta del come far fronte ad un attacco del genere. È pensabile che tutta Europa pur di mettere a sedere in breve tempo la c.d. “speculazione” , concorderebbe facilmente e velocemente sulla possibilità di far stampare euro in BCE per riacquistare debito, magari a tassi politici (un 2% ad esempio ) ma per la Germania questo è semplicemente inaccettabile. Infine sia la Germania, sia la Francia, sia a breve la Spagna e un po’ dopo la Grecia avranno appuntamenti elettorali (nonché ovviamente l’Italia ) e questi condizioneranno in chiave “breve termine” e “nazionale” le ottiche politiche. Ciò potrebbe spiegare anche il: perché adesso ?

 

A ben vedere e se volessimo seguire l’ipotesi “complotto anglosassone” si presenta anche un obiettivo intermedio: poter premere per disaggregare l’Europa in due, tutti da una parte e l’area tedesca dall’altra (area tedesca = da un minimo della sola Germania, ad un massimo di Olanda, Austria, Slovacchia ? Finlandia ? Estonia ? con particolare attrazione nei confronti dell’ex Europa dell’Est).

L’euro rimarrebbe all’interno di una zona che avrebbe la Francia e l’Italia come poli principali, si svaluterebbe, perderebbe il suo potenziale di moneta internazionale concorrente del dollaro (diventerebbe, per quanto rilevante, una moneta “regionale”).

Il deprezzamento dell’euro, secondo alcuni analisti, era forse l’obiettivo primario di questa ipotizzata strategia. Il fine minimo sarebbe quello di riequilibrare la pericolante bilancia dei pagamenti statunitense, oltre agli obiettivi di geo monetarismo.

Altresì il “nuovo marco” si apprezzerebbe, chiudendo un certo angolo di mercato dell’esportazione tedesca cosa che faciliterebbe l’espansione dell’export americano che gli è, per molti versi, simmetrico.

Ciò che gli USA perderebbero per l’apprezzamento dollaro – nuovo euro (perderebbero in export ma guadagnerebbero in import, le bilance dei pagamento USA e UK sono le più negative nei G7) lo recupererebbero nel deprezzamento dollaro – marco, ma a ciò si aggiungerebbero tutti gli ulteriori benefici del dissolvimento del progetto di Grande Europa.

Il progetto Grande Europa guardava oltre che ad est anche al Nord Africa, al Medio Oriente ed alla Turchia, al suo dissolvimento questi, tornerebbero mercati contendibili.

Da non sottovalutare il significato “esemplare” di questo case history per quanti (Sud America, Sud Est Asiatico) stanno pensando di fare le loro unioni monetarie.

Una volta sancito il divorzio euro – tedesco, l’Europa quanto a sistema unico, svanirebbe in un precario ed instabile sistema binario ed avrebbe il suo bel da fare almeno per i prossimi 15 - 20 anni.

Una strategia geo politica oggi, non può sperare in un orizzonte temporale più ampio. Forse questa ipotesi ha il pregio di funzionare sulla carta ma molto meno nella realtà.

Il giorno che s’annunciasse questo cambio di prospettiva (anticipato da un lungo, lento e spossante succedersi di scosse telluriche) spostare la BCE a Bruxelles e riformulare tutti i trattati sarebbe una impresa a dir poco disperata. Con i governi in campagna elettorale poi sarebbe un massacro. Ma non è altresì detto che ciò che ci sembra improbabile in tempi normali, sia invece possibile o necessario in tempi rivoluzionari.

Il silenzio compunto degli americani sulla crisi dell’eurozona potrebbe testimoniare del loro attivo interesse in questa operazione. Se ci astraiamo dalla realtà e guardiamo il tutto con l’occhio terzo di un marziano, non un atto, non un incontro, non un pronunciamento se non quelli di prammatica (digitate Geithner su Google e troverete una pagina che riporta una sola frase:” l’euro deve sopravvivere[1]” dichiarato il 9.11.2011, un gran bel pronunciamento) , accompagnano la crisi del primo alleato strategico degli USA. La crisi è degli europei e gli europei debbono risolverla, questo il refrain che accompagna gli eventi. Quale terzietà ! Quale bon ton non interventista ! Quale inedito rispetto delle altrui prerogative sovrane !

Al silenzio americano, fa da contraltare il chiacchiericcio britannico dove Cameron non passa giorno (e con lui il FT, l’Economist e molti economisti a stipendio delle università britanniche ed americane ) senza sottolineare come l’impresa dell’euro non aveva speranze e ciò a cui assistiamo non è che la logica conseguenza di questo sogno infantile. Sulla tragica situazione dell’economia britannica avete mai sentito pronunciar verbo ?

Qualche giorno fa c’è stata una frase del tutto ignorata anche perché pronunciata dal Ministro degli Esteri francese Alain Juppé (le connessioni neuronali dei giornalisti sono sempre a corto raggio e soprattutto mancano sistematicamente di coraggio). Cos’ha detto Juppé? Relativamente alle notizie sull’Iran, ha pronunciato un pesante giudizio: “gli Stati Uniti sono una forza oggettivamente destabilizzante”.

Da ricordare il disprezzo americano che ha accompagnato l’ipotesi “Tobin tax” sostenuta virilmente da Sarkozy all’ultimo G20 e le impotenti lagnanze dell’Europa per lo strapotere non del tutto trasparente dei giudizi di rating, nonché le lamentale off record di Angela Merkel sull’indisponibilità anglosassone a dar seguito ai buoni propositi regolatori della banco finanza internazionale che si sprecarono all’indomani del botto Lehman e che sono poi diventati remote tracce nelle rassegne stampa.

Il punto è quindi tutto in Germania. O la Germania sceglierà il destino che le è stato confezionato da questa presunta strategia o avrà (un improbabile) scatto di resistenza.

Da una parte, il consiglio dei saggi dell’economia tedesca (la consulta economica del governo tedesco è una istituzione che è eletta direttamente dal Presidente della Repubblica) che ha nei giorni scorsi emesso il suo verdetto: tutti i debiti sovrani dell’eurozona che eccedono il 60% di rapporto debito/Pil vanno ammucchiati in un fondo indifferenziato e sostenuti dall’emissione di eurobond garantiti in solido dai singoli stati ognuno in ragione ovviamente della sua percentuale di debito in eccedenza.

Gli eurobond sicuri e garantiti spalmerebbero l’eccesso di debito in 25 – 30 anni, (quello della dilazione temporale è poi ciò che sta facendo la Fed che compra bond del Tesoro Usa a breve per farne riemettere a lungo).

Dall’altra parte la cancelliera tedesca agita lo spettro di una quanto mai improbabile rinegoziazione del Trattato di Maastricht in senso ulteriormente restrittivo e con diritto di invasione di campo nelle economie politiche nazionali da parte degli eurocrati di Francoforte. La Germania però non sembra potersi porre all’altezza dei suoi compiti strategici e probabilmente lascerà fare agli eventi.

Laddove una volontà forte, intenzionata ed organizzata incontra una volontà debole, dubbiosa e con competizione delle sue parti decisionali, l’esito è scontato. Vedremo come finirà.



[1] “sopravvivere” è il termine esatto che fa capire quale sarebbe il desiderio americano, un tramortimento, un depo tenziamento che non faccia tracollare la già più che certa recessione che ci aspetta nel prossimo decennio. Comunque al di là delle parole, nei fatti, l’empatia americana per la crisi europea è tutta in questa magra frase.


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vendredi, 18 novembre 2011

Siria: Porta strategica dell’Occidente per la supremazia militare globale

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Siria: Porta strategica dell’Occidente per la supremazia militare globale

di Rick Rozoff

Fonte: aurorasito

 

La Lega degli Stati Arabi (Lega Araba) ha sospeso la partecipazione della Siria all’organizzazione il 12 novembre, come fece con la Libia il 22 febbraio di quest’anno. Nel caso della Libia, la cui appartenenza è stata reintegrata dopo che la NATO ha bombardato per mettere al potere i suoi ascari, alla fine di agosto, all’epoca gli Stati membri di Algeria e Siria si erano opposti all’azione, ma si piegarono al consenso sotto la pressione da parte di otto paesi arabi governati da famiglie reali – Bahrain, Giordania, Kuwait, Marocco, Oman, Qatar, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, che a tutti gli effetti ora sono la Lega Araba, con gli altri membri formali, sia vittime dei recenti cambi di regime o sia probabilmente oggetto di un simile destino.
Con la replica delle mosse di febbraio, lo scorso fine settimana, Algeria, Libano e Yemen hanno votato contro la sospensione della Siria e l’Iraq si è astenuta attraverso una combinazione di opposizione di principio e d’interesse, essendo le quattro  nazioni, i possibili prossimo stati ad essere sospesi dalle monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti) e della Giordania e del Marocco (questi ultimi due hanno recentemente chiesto di aderire, anche se non si affacciano sul Golfo Persico, e il Marocco è sull’Oceano Atlantico) come l’intesa tra USA-NATO e monarchie arabe dovrebbe richiedere.
Washington sta facendo pressione sul presidente dello Yemen Ali Abdullah Saleh affinché si dimetta, mentre gli si mostra cortesemente la porta di un piano ideato dal Gulf Cooperation Council (GCC), oltre a chiedere lo stesso al presidente siriano Bashar Assad. Il GCC ha schierato truppe in Bahrain a marzo, in quel caso per sostenere il governo, quello della dinastia al-Khalifa.
Qatar ed Emirati Arabi Uniti hanno fornito aerei da guerra alla NATO e armi e personale delle forze speciali al Consiglio nazionale di transizione, per i 230 giorni di blocco e bombardamento della Libia, Marocco e Giordania si unirono ai due paesi del Golfo. al vertice di Parigi del 19 marzo, che lanciò la guerra contro la Libia.
Le quattro nazioni arabe sono strette alleate bilaterali militari del Pentagono, e membri dei programmi di partenariato della NATO, del Dialogo Mediterraneo nel caso della Giordania e del Marocco, dell’Iniziativa di Cooperazione di Istanbul con il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti (EAU). Giordania e Emirati Arabi Uniti sono ad oggi, le uniche ad aver inviato ufficialmente truppe arabe per contribuire all’International Security Assistance Force in Afghanistan della NATO.
Il 31 ottobre, undici giorni dopo l’assassinio dell’ex capo dello Stato libico Muammar Gheddafi, il Segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, è volato a Tripoli e ha offerto i servizi dell0unico blocco militare mondiale alla ricostituzione delle forze militari e di sicurezza interna della nazione martoriata, come la NATO sta facendo in Iraq e in Afghanistan con le missioni di addestramento della NATO – in Afghanistan e in Iraq. Ricostruzione, trasformazione e modernizzazione delle forze armate della Libia, come quelle degli altri due paesi, per raggiungere gli standard e l’interoperabilità della NATO.
Una settimana dopo, Ivo Daalder, da lungo tempo sostenitore e architetto della NATO Globale [1], ora col potere di attuare i suoi piani come ambasciatore dell’amministrazione Obama nell’alleanza militare, ha offerto il complemento inevitabile all’offerta di Rasmussen, ribadendo che “la NATO è pronta, se richiesto dalle nuove autorità libiche, a valutare come poter aiutare le autorità libiche, in particolare nella riforma della difesa e della sicurezza“.
Secondo l’Agence France-Presse “Daalder ha detto anche che la Libia potrebbe rafforzare i suoi legami con l’alleanza transatlantica unendosi al Dialogo Mediterraneo della NATO, una partnership che comprende Marocco, Egitto, Tunisia, Algeria, Mauritania, Giordania e Israele“. (I nuovi regimi in Egitto e Tunisia stanno pienamente onorando i precedenti impegni militari con Stati Uniti e NATO.)
Lo scenario esatto su cui un articolo di Stop NATO mise in guardia il 25 marzo, sei giorni dopo che l’Africa Command degli Stati Uniti ha lanciato l’Operazione ‘Odissea all’Alba’ e l’inizio degli oltre sette mesi di guerra contro la Libia:
Se l’attuale modello libico è duplicato in Siria, come sembra essere sempre più il caso, e con il Libano già bloccato dalle navi da guerra della NATO dal 2006, in quello che è il prototipo di ciò che la NATO  presto replicherà al largo delle coste della Libia, il Mar Mediterraneo sarà interamente sotto il controllo della NATO e del suo membro di spicco, gli Stati Uniti. Cipro è il solo membro dell’Unione unica europea e in effetti l’unica nazione europea (ad eccezione dei microstati) che non è – per ora – membro o partner della NATO, e la Libia è l’unica nazione africana che si affaccia sul Mediterraneo a non  essere un membro del programma di partnership Dialogo del Mediterraneo della NATO“. [2]
Se davvero la Siria diventasse la prossima Libia e un nuovo regime yemenita sarà installato sotto il controllo del Gulf Cooperation Council, le sole nazioni rimanenti nel vasto tratto di territorio conosciuto come Grande Medio Oriente, dalla Mauritania. sulla costa atlantica, al Kazakistan al confine cinese e russo, a non essere legate alla NATO attraverso partnership multinazionali e bilaterali, saranno Libano (vedi sopra), Eritrea, Iran e Sudan.
Gibuti ospita migliaia di soldati degli Stati Uniti e altri stati membri della NATO. La NATO ha trasportato migliaia di truppe ugandesi e burundesi per la guerra per procura nella capitale della Somalia, oltre a stabilire una testa di ponte nella regione del semi-autonomo/autonomo del Puntland, per l’implementazione dell’operazione navale Ocean Shield nel Golfo di Aden. I sei paesi del GCC sono inclusi nell’Iniziativa per la cooperazione della NATO di Istanbul e le ex repubbliche sovietiche di Armenia, Azerbaigian, Georgia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan sono membri del Partenariato per la Pace, il programma utilizzato per assegnare a dodici paesi dell’Europa orientale la piena adesione alla NATO, nel 1999-2009. Armenia, Azerbaigian e Armenia hanno anche singoli Piani d’azione di partenariato con la NATO e la Georgia ha un programma speciale annuale, così come un collegamento con l’Alleanza nella capitale (NATO Contact Point Embassy.) Nel 2006, il Kazakistan è diventata la prima nazione non-europea a beneficiare di un Piano d’azione di partenariato individuale. [3]
La NATO ha anche un ufficio di collegamento in Etiopia che assiste lo sviluppo della componente orientale della Forza di pronto intervento africana, sul modello della NATO Response Force globale.
Con la partnership nel Mediterraneo, Nord Africa e Golfo Persico, in collegamento con quelli dell’Europa centrale e meridionale (la NATO ha truppe nelle basi in Afghanistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) e oltre che con l’India e le dieci nazioni dell’Associazione del Sud-Est asiatico [4], collegandosi con i Paese di Contatto, partner del blocco militare, Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud, gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali stanno stringendo una importante cintura, una falange armata della NATO, lungo l’intero emisfero settentrionale. Un’asse militare a guida USA, che nel linguaggio dei leader occidentali usato in tutto il periodo post-guerra fredda, va da Vancouver a Vladivostok (procedendo verso est).
Tre anni fa Malta si unì al Partenariato per la Pace, aggiungendosi così alle basi della NATO in Sardegna, Sicilia, Creta, e alle basi a Cipro della Gran Bretagna, potendone utilizzare le piste per i jet da combattimento, i rifornimenti, i depositi di armi e gli attracchi, quali punti di partenza per l’aggressione militare in Africa e nel Medio Oriente.
Libano, Siria, Cipro e Libia sono gli unici paesi del Mediterraneo che attualmente non sono membri o partner della NATO, e gli Stati Uniti e i loro colleghi della NATO, hanno obiettivi su tutte e quattro. La Libia, unendosi al Dialogo Mediterraneo, completerà la partnership con l’Alleanza in tutto il Nord Africa, dall’Egitto al Marocco, e inserirà la sua marina, ricostruita e reclutata dagli occidentali, nelle operazioni di sorveglianza marittima della NATO Active Endeavor e alle attività di interdizione per tutto il Mar Mediterraneo, operazione ora nel suo undicesimo anno.
Il governo della Siria non è il solo, ma è il principale e solo alleato affidabile dell’Iran, tra gli attori statali nel mondo arabo. La città portuale siriana di Tartus ospita la solo base navale della Russia nel Mediterraneo. Il cambio di regime a Damasco, se effettuata, spodesterà le marine russe e iraniane dal mare, eliminando le sole strutture di attracco amichevoli.
Le conseguenze dell’installazione di un governo filo-occidentale in Siria inciderebbero anche sul vicino Libano, dove Israele e i suoi protettori occidentali avrebbero mano libera per attaccare Hezbollah e le milizie del Partito Comunista, nel sud della nazione, e insieme con gli sforzi degli Stati Uniti per tacitare la sconfitta militare dello Stato. nel corso degli ultimi cinque anni, eliminando ogni opposizione al controllo occidentale del paese, militare e politico.
Ad agosto, il presidente palestinese Mahmoud Abbas fece una visita al Congresso USA affinchè “la sicurezza del futuro Stato palestinese sia consegnato alla NATO, sotto il comando americano“, secondo un aiutante citato dall’agenzia di stampa Ma’an. [5]
Poteva ben vedere la NATO e le truppe statunitensi di stanza nella sua nazione, ma non nei termini da lui voluti.
Nulla avviene isolatamente, e sicuramente non nell’età delle potenze occidentali, che impiegano espressioni come unica superpotenza militare al mondo e Global NATO, e portando avanti i progetti per la loro realizzazione. La Siria non fa eccezione.

 

Note
1) 21st Century Strategy: Militarized Europe, Globalized NATO, Stop NATO, 26 Febbraio 2010

West Plots To Supplant United Nations With Global NATO, Stop NATO, 27 maggio 2009
2) Libyan War And Control Of The Mediterranean, Stop NATO, 25 marzo 2011
3) Kazakhstan: US, NATO Seek Military Outpost Between Russia And China, Stop NATO, 14 Aprile 2010
4) India: US Completes Global Military Structure, Stop NATO, 10 settembre 2010 

Southeast Asia: US Completing Asian NATO To Confront China, Stop NATO, 6 Novembre 2011
5) Abbas tells US lawmakers: NATO role in Palestinian state, Ma’an News Agency, 12 Agosto 2011

 

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

 


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jeudi, 17 novembre 2011

China: Von der Boom-Region zum Epizentrum einer neuen Wirtschaftskrise?

China: Von der Boom-Region zum Epizentrum einer neuen Wirtschaftskrise?

Michael Brückner

In China geht die Angst vor einem Mega-Crash um. Während die Europäer in Peking noch um Geld für die Pleitestaaten der Eurozone betteln, scheint sich die US-Subprime-Krise nun im Land der Mitte zu wiederholen. Eine platzende Immobilienblase, hohe Preissteigerungen, völlig undurchsichtige Kreditrisiken und eine Wirtschafts-Elite, die dem Land den Rücken kehrt – die Boom-Region könnte schon sehr bald zum Epizentrum einer neuen Weltwirtschaftskrise werden.

 

 

Wenn eine im Umgang mit Geld eher sorglose Familie in wirtschaftliche Probleme gerät, ruhen die Augen oft auf dem reichen Onkel, der selbstlos in die Tasche greifen und der lieben Verwandtschaft aus der finanziellen Misere helfen soll. Was aber, wenn der vermeintlich reiche Onkel selbst in der finanziellen Klemme steckt? Dieser Vergleich liegt nahe, wenn man das aktuelle Verhältnis von Europa zu China analysiert. Klamme Euro-Länder hoffen auf bestens dotierte chinesische Staatsfonds, die kräftig in die Schuldverschreibungen der Pleitekandidaten investieren. Auch der IWF antichambriert in Peking. Doch während die Europäer noch immer auf die Hilfe durch den »reichen Onkel« aus dem Fernen Osten warten, kommen von dort beunruhigende Nachrichten. Im gefeierten Boom-Land China droht eine gigantische Blase zu platzen – mit unabsehbaren Folgen für die Weltwirtschaft.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/michael-brueckner/china-von-der-boom-region-zum-epizentrum-einer-neuen-wirtschaftskrise-.html

Serbes du Kosovo: un passeport russe pour se protéger

Serbes du Kosovo: un passeport russe pour se protéger
 
Russian_passport.jpgLes Serbes du Kosovo ont transmis à l'Ambassade de Russie à Belgrade une pétition afin de recevoir un passeport russe. Selon l'organisation «La Vieille Serbie», cela serait le seul moyen de se protéger contre les pressions dont ils sont victimes.
Plus de 20.000 Serbes du Kosovo demandent la nationalité russe. Une collecte de signatures a commencé il y a quelque mois à l’initiative de l’association «La Vieille Serbie» basée dans l’enclave serbe de Gracanica. La semaine dernière, la pétition a été remise à l’ambassade de la Fédération de Russie à Belgrade.
 
Obtenir la protection de la «mère Russie»
 
«Le message est que les citoyens serbes demandent la protection de la «mère Russie», comme ils l’appelent depuis toujours. Ils ont le sentiment que rien ne garantie leur sécurité et espèrent pouvoir ainsi des conditions de vie meilleures. Le document est avant tout l’expression de la volonté des serbes du Kosovo, qui sont toujours dans situation très difficile, et d’une partie des serbes qui ont dû quitter leurs foyers et résident maintenant dans d’autres régions de Serbie. La pétition s’adresse notamment au président russe, au premier ministre, à la Douma d’état et à sa Sainteté le Patriarche de Moscou et de toutes les Russies. Le message s’adresse du reste au peuple russe tout entier. L’ambassade joue le rôle de médiateur et se conformera à la procédure habituelle. Le document est en train d’être traduit, ensuite l'original et la traduction seront expédiés aux différents destinataires. Ils seront étudiés et leurs destinataires prendront les décisions et formuleront les propositions et les suggestions qui s’imposent», dit le conseiller de l’ambassade de Russie, Oleg Bouldakov.
 
Trois serbes tués au Kosovo
 
Certains médias serbes se sont déjà empressés de qualifier l’iniative des serbes du Kosovo de «slavophilie creuse» mais il est facile de comprendre les préoccupations de la minorité serbe.
 
En effet, trois Serbes ont été tués au Kosovo depuis un mois mais ni les structures internationales ni, à plus forte raison, la police du Kosovo qui est constituée en majeure partie d’Albanais, ne donnent de suites au dossier. Montés sur les barricades, les serbes du Kosovo protestent depuis plusieurs mois contre l’établissement de l’état autoproclamé dans le nord de la région. Mieux encore, les militaires de l’OTAN ont déjà eu recours aux gaz lacrymogènes et aux armes à feu pour «pacifier» la situation.
 
Une forte pression occidentale pèse sur la Serbie
 
Le vice-président de l’Association «La Vieille Serbie» Zlatobor Dordevic a expliqué à la Voix de la Russie ce qu’espéraient les Serbes du Kosovo en soumettant cette pétition à l’ambassade de Russie.
 
«Si nous recevons la nationalité russe, les états occidentaux n’oseront plus faire ce qu’ils font actuellement au Kosovo. La Serbie est un petit état qui ne peut pas résister à leurs pressions. Du moment que nous sommes titulaires d'un passeport russe, nous pouvons compter sur la protection de Moscou».
«Nous savons que l’acquisition de la nationalité russe est une procédure longue et complexe. Mais nous attendrons en espérant qu’on nous vienne en aide et qu’une législation spéciale soit introduite pour les serbes du Kosovo et Métochie (partie sud du Kosovo). Nous espérons que les dirigeants russes nous aideront à accéder à la nationalité sans avoir à passer par les procédures complexes.
 
Si les Serbes du Kosovo demandent la double nationalité, ce n’est pas pour quitter leur pays mais parce que la situation dans la région est imprévisible. Les serbes du Kosovo doivent faire face à des pressions énormes, surtout de la part des contingents américains et allemands de la KFOR. Cela vient notamment du fait que l’Allemagne sait parfaitement de quelles ressources naturelles recèle le petit Kosovo, surtout sa partie nord, peuplée de Serbes. Nous voudrions rester chez nous mais nous sommes littéralement contraints de nous exiler. Si l’Occident obtient gain de cause, nous serons obligés de nous installer dans les régions centrales de Serbie et peut-être même en Russie si la situation devient intenable ».
 
Selon Zlatibor Dordevic, de plus en plus de Serbes du Kosovo et Métochie se joignent à l’action après la soumission de la demande de nationalité à l’ambassade de Russie.

Italie et Grèce : Laboratoires de l’Europe de demain

Italie et Grèce : Laboratoires de l’Europe de demain

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La crise européenne nuit non seulement aux finances publiques, mais à la réflexion car à lire les commentateurs français ou même italiens, il est surprenant de voir comment les marches financiers sont érigés désormais en juge de paix.

« Le Monde » présente comme une bonne nouvelle l’éviction de Silvio Berlusconi, se réjouissant de l’austérité à venir comme si l’époque précédente avait été marquée par une générosité sans nom pour les citoyens de l’Europe. Alessandro Penati dans « La Repubblica » explique que le paquet de mesures du bon docteur Monti doit être appliqué sans plus tarder pour retrouver la confiance des investisseurs internationaux. Soudain les marchés sont érigés en acteurs rationnels, désireux d’une seule chose : la croissance et le plein emploi pour tous. Nous croyons rêver, ou plutôt cauchemarder.

Nous savons tous que les marchés obéissent à une logique d’opinion, et que les fondamentaux des entreprises ou des économies n’entrent rien dans leurs considérations. Comme croire que la 8ème puissance mondiale est une puissance au bord de la faillite et qui aurait perdu toute capacité industrielle. Les performances de l’Italie restent nombreuses. Nous ne pouvons qu’être stupéfaits par des affirmations qui se lamentent de la faible croissance des pays sans tenir compte d’un environnement dans lequel cette croissance se déroule.

Demain, tant que le chômage de masse, les inégalités, n’auront pas trouvé de réponse satisfaisante, tant que la concurrence fiscale et sociale se poursuivra , tant que l’Europe sera incapable d’apporter des réponses sérieuses à la désindustrialisation, tant que la politique de change sera aux abonnés absents, tant que les dépenses de recherche et développement resteront si faibles, tant que les stratégies non coopératives comme la désinflation à l’allemande seront à la mode, aucune cure d’austérité ne répondra aux défis précédemment cités. Alors la panique aujourd’hui l’emporte, des mea culpa s’empilent, des pénitences se préparent.

 

Les recettes de l’échec vont continuer avec son cocktail made in FMI : privatisations, réductions des dépenses sociales, et j’en passe. Quand nous pensons aux coupes dans l’éducation orchestrées par la ministre italienne sortante, madame Gelmini, demain après les plans d’austérité encore plus massifs qu’en restera t- il ? Alors Mario Monti dit vouloir combattre les privilèges, mais de quoi parle- t-il au juste ? Faut-il y voir de l’ironie, du cynisme ? Certes, il existe des anomalies, des abus, des corporatismes, mais les vrais problèmes sont ailleurs.

Alors nous disons que la Grèce et l’Italie dont les gouvernements sont les avant gardes du futur démocratique européen, c’est à dire des aéropages de techniciens adoubés par les marchés financiers, le FMI, et les puissances fragiles du moment comme l’Allemagne et la France qui tremble pour son triple AAA. Les marchés ont relâché la pression sur l’Italie car M. Monti est tout prêt à servir leur intérêt.

En Grèce, le gage de sérieux est la présence d’un ancien commissaire européen et d’un premier ministre prêt à administrer sans ciller une rigueur plus violente encore ; il fait entrer des ministres de l’extrême droite, cela n’offusque en rien la troïka Allemagne France, FMI et qu’il faudrait élargir aux agences de notation. Le remboursement de la dette n’a pas de couleurs politiques et puis le respect de principes démocratiques c’est pour les célébrations convenues du 9 mai, lorsque nous affirmons notre attachement au bel idéal européen de paix et de démocratie.

Semprun, grand européen, dans son dernier ouvrage nous disait bien que la paix est la fille de la démocratisation et rien d’autre. Il est à regretter qu’en Italie, une certaine gauche si heureuse de voir le berlusconisme disparaître ne mesure pas pleinement les risques économiques de ces plans d’austérité, mais aussi les risques politiques. En somme nous assistons à des formes de putschs tout à fait légaux – et nous mesurons nos mots.

Voilà deux chefs de gouvernements qui sont débarqués par la pression des marchés autorité non élue avec l’aval d’États étrangers. Leurs gouvernements sont modifiés en dehors de tout appel aux citoyens par la voie d’élection. Élections qui sont remises à plus tard. Je ne parle pas ici du référendum qui est un gros mot en Europe. Puisque ces derniers sont soit interdits, soit contournés.

Les Danois et les Irlandais ont voté à plusieurs reprises pour dire oui à l’Europe, et la France a découvert le traité qu’elle a refusé sous la forme du traité de Lisbonne. Des gouvernements techniques ou d’union nationale sont rapidement constitués ou en voie de l’être. Mais si demain, si les fameux marchés qu’il faut rassurer, puisqu’ils sont les seuls interlocuteurs valables, ne retrouvent pas leurs comptes, qu’eux même ignorent parfois, alors ces mêmes gouvernements improvisés seront destitués. L’Histoire à des moments sombres nous avait pourtant appris que Munich ne pouvait être une référence souhaitable.

Mais que veut dire profondément l’austérité ? Elle ne signifie rien d’autre que deux choses : l’appauvrissement d’une nation contrainte de se séparer de sa richesse, une partie du capital des géants italiens Enel ENI va passer entre les mains des Chinois par exemple, le Pirée a connu le même sort pour les Grecs ; et aussi l’aggravation des inégalités de revenus, de patrimoine, pour ne citer que celles-ci.

Les marchés financiers ne se sont pas trompés, le sauvetage des banques avant toute chose, la mise au pain sec des citoyens sont autant de modifications du partage de la richesse. Tremblez gouvernements européens devant les autorités invisibles que sont les marchés, célébrez les technocrates et autres experts attitrés, licenciez vos peuples encombrants, promettez les larmes et le sang et vous serez dits courageux et dotés d’un sens de l’État. Les pays du Sud ont été moqués, leurs nouveaux gouvernements sont les modèles de l’Europe post démocratique. Et ne croyons pas que demain nous serons mieux lotis, l’élection présidentielle que nous allons vivre nous donnera peut-être la dernière occasion de mettre en scène la pièce démocratique.

Notre isoloir ne contient plus notre avenir mais bientôt les souvenirs défraîchis de ce que nous avons appelé la démocratie et que nous avons un peu stupidement cru à jamais acquise. Alors amusons nous une dernier fois en avril prochain, fêtons à la concorde au Fouquet’s , ou rue Solférino l’un des vainqueurs et attendons avec lui notre destitution prochaine.

Les Échos

mercredi, 16 novembre 2011

Europe: la diplomatie de l'insulte

Europe: la diplomatie de l'insulte

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Le Premier ministre britannique David Cameron a appelé le président français Nicolas Sarkozy « un nain caché » dans le cadre d’une blague dite à un journaliste. La chancelière allemande Angela Merkel a qualifié Sarkozy de »M. Bean « , tandis que Sarkozy la surnomme  » La Boche « ,. Le Premier ministre espagnol José Zapatero est jugé  «trop rose» en raison de la forte proportion de femmes dans son gouvernement , a déclaré le Premier ministre italien Silvio Berlusconi. Et l’opinion de M. Berlusconi sur l’euro? « Un désastre », a t-il dit, qui nous a « tous bousillé »


Entre le "nain" et la "Boche": la diplomatie de l’insulte

« Est-il si surprenant qu’un accord entre dirigeants européens soit si difficile à atteindre ? » Bloomberg Businessweek a sa petite idée sur la question : « Il n’est qu’à jeter un œil sur ce qu’ils disent les uns des autres ».

« Le nain », « Mr Bean », « la Boche »… En matière de diplomatie européenne, les amabilités fusent. Pour faire le tour de la question, Businessweek publie une savoureuse infographie représentant sept responsables européens (Angela Merkel, Georges Papandreou, Nicolas Sarkozy, José Luis Rodriguez Zapatero, Jean-Claude Juncker, David Cameron et Silvio Berlusconi) et les vacheries qu’ils se sont envoyées au visage (ou plus fréquemment dans le dos). Valeur ajoutée non négligeable : des éléments de contexte permettent de comprendre les circonstances dans lesquelles ces piques ont été prononcées.

On se souvient de cette petite phrase de Sarkozy à propos de Zapatero rapportée par Libération« Il n’est peut-être pas très intelligent ». Devant un journaliste du Daily Telegraph, qui rapporte l’anecdote, le premier ministre britannique David Cameron avait quant à lui traité en 2009 le président français de « hidden dwarf » (littéralement « nain caché », mais qu’on traduira librement par « nain de jardin »). Plus magnanime, Angela Merkel surnomme notre président « Mr Bean », qui, en retour, l’appelle plus platement « La Boche ».

Mais c’est sur la carrière d’un autre acteur réputé pour son énergie que Mme Merkel s’est penchée pour décrypter le comportement de son homologue hexagonal : Louis de Funès. En 2008, un article du journal allemand Der Spielgel rapportait que son mari lui a acheté récemment un lecteur de DVD : « Maintenant, elle peut voir les films de Louis de Funès. Le comportement des Français intéresse beaucoup Merkel depuis l’entrée en fonction de Nicolas Sarkozy. »

Le Post.fr avait à l’époque reproduit le passage en langue originale :

Dans un entretien au JDD, un journaliste du quotidien allemand allait plus loin dans la comparaison entre les deux grands hommes : « Nous avons dit dans Der Spiegel que le mari d’Angela Merkel aurait offert à sa femme pour Noël des vidéos de Louis de Funès pour la préparer à sa prochaine rencontre avec le chef d’Etat français ».

Mais à en croire Arnaud Leparmentier, journaliste au Monde, c’est Nicolas Sarkozy qui demeure le champion toutes catégories des blagues vachardes. « Lorsque nous nous téléphonons entre dirigeants européens et que nous en venons à parler de Nicolas Sarkozy, nous nous disons : ‘Tu me dis les méchancetés qu’il a dites sur moi, ou c’est moi qui commence ?’, raconte un membre du Conseil européen« , rapporte-t-il sur son blog.

Illustration de cette « so french » courtoisie incarnée par notre cher leader : pendant ses déjeuners avec des responsables européens, Nicolas Sarkozy n’aurait de cesse de répéter à propos d’Angela Merkel : « Elle dit qu’elle est au régime… et se ressert de fromage ».

Un trop rare "moment de tendresse" (AP/Jesco Denzel)

Businessweek a tout de même déniché un rare « moment de tendresse » dans ce monde de brutes : le jour où Mme Merkel a offert un ours en peluche à M. Sarkozy pour la naissance de sa petite fille, Giulia. Un instant de grâce aussitôt gâché par un « geste d’incivilité » du président français, incapable de résister à la sonnerie de son téléphone et déballant son présent d’une main tout en discutant avec un tiers, souligne Businessweek.

En réalité, Nicolas Sarkozy était en train de joindre sa femme, Carla bruni-Sarkozy, pour lui faire part de l’attention de la chancelière allemande, à qui il a ensuite passé le combiné. Il s’agissait donc d’un vrai « moment de tendresse », et non d’une énième goujaterie…

Source Le Monde

'Vergeet Engels, leer Duits!'

'Vergeet Engels, leer Duits!'

Thomas von der Dunk 
 
Ex: http://www.volkskrant.nl/ 
 
Wat Nederland nodig heeft, is niet een premier die de lof zingt van New York, maar eentje die kennis heeft van Berlijn. Dat stelt historicus en vk-columnist Thomas von der Dunk.
'We zijn met de Grieken en Romeinen begonnen, we moeten even uitkijken dat we er niet ook mee eindigen'. Aldus D66-fractieleider Pechtold vorige zondag snedig in het tv-pogramma Buitenhof.

Staat het Europese Imperium op instorten? Wat onze eigen geblondeerde Edelgermaan uit Venlo betreft, die ons al langer onder Romeinse braspartijen gebukt ziet gaan, kan dat niet snel genoeg gebeuren: hij waant zich en nieuwe Claudius Civilis en wil de gulden terug. Knus Bataafs vergaderen onder de vertrouwde eikenboom, en dan met een hoog hek eromheen!

Eenogige gnoom
Maar de, net al iedereen in deze Bataafse contreien tot 1648, nog als onderdaan van de Roomse keizer geboren Oer-Nederlander Rembrandt heeft niet toevallig Claudius Civilis op zijn voor het Amsterdamse stadhuis bestemde schilderij van de samenzwering als eenogige gnoom afgebeeld.

In elk geval lijkt nu definitief een einde te komen aan het bewind van een premier die qua losbandigheid en decadentie inderdaad de meest beruchte Romeinse keizers naar de kroon kon steken. Maar net als Nero, die wel theatraal met zijn dolk zwaaide maar uiteindelijk geen zelfmoord durfde te plegen en daarvoor de hulp van een slaaf nodig had, tracht Berlusconi voorafgaand aan de eigen ondergang nog tijd te rekken, in dit geval om zijn louche financiële zaakjes te regelen. Als maffiabaas doet hij immers niet voor zijn Britse mede-mediamagnaat Murdoch onder.

Grote golfkarretjesvriend
Tot zover de grote golfkarretjesvriend van onze eigen gewezen Normen-en-Waarden-premier Jan Peter Balkenende.

Zoals men in Rome anno 68 na de liederlijke Nero de brave senator Galba tot keizer kroonde, heeft men in het huidige Rome nu de hoop op de brave senator Mario Monti gezet, die zijn vacanties niet tussen hoge vrouwelijke borsten maar tussen hoge Zwitserse bergen pleegt door te brengen. En zoals we uit 'Asterix en de Helvetiërs' weten: de Zwitsers zijn al sinds de dagen der Romeinen geen liefhebbers van wulpse hompen vlees maar van klef gesmolten kaas.

Eén waarschuwing is overigens op z'n plaats: ook Galba verloor indertijd binnen een paar maanden letterlijk zijn hoofd, omdat hij het woedende gepeupel niet de verlangde brood en spelen wist te geven, waarin Nero Berlusconi met zijn tv-shows wel zo goed in was. Na twee op Galba volgende nieuwe potentaten eindigde het Vierkeizerjaar met een machtsgreep van de norse veldheer Vespasianus, die zijn eerste belangrijke ervaringen als legioenscommandant in Germanië had opgedaan. Mondt ook de huidige chaos in Rome in een Germaans gekleurde militaire dictatuur?

Twee snelheden
Nu de nood op zijn hoogst is, blijkt waar in Europa de werkelijke macht ligt - en hoe zichtbaar die verschuift. Het Europa van twee snelheden, dat er officieel nooit mocht komen, is er al, met de Britten, als gevolg van de eeuwige eigen neiging tot halfslachtig van twee walletjes eten, buitenspel.

In de Eurozone geeft Berlijn de toon aan, omdat dat zich nu geen financiële lankmoedigheid meer veroorloven kan: het al langer aanwezige feitelijke machtsverschil tussen Duitsland en Frankrijk - ooit naar buiten toe en as met twee gelijkwaardige wielen - laat zich niet langer verbloemen.

Mentaal Germanen
Politiek-mentaal kleven daar grote risico's aan - de perceptie van een 'Duits dictaat' heeft in Griekenland al tot hysterische reacties geleid - maar puur beleidsmatig hoeven we met een rangorde Duitsland-Frankijk-Engeland niet ontevreden te zijn. Van alle drie lijkt Duitsland nu eenmaal het meest op ons: wat dat betreft zijn ook wij mentaal Germanen.

De financiële degelijkheid van de Duitsers is nu van hoger gewicht dan de AAA-status-glorie van de imagogevoelige Fransen. En het politieke belang dat de Fransen aan staatsinvloed op economisch terrein hechten valt, tegen de achtergrond van de machteloosheid van de democratie versus de dictatuur van de markt, op zijn beurt weer verre te prefereren boven het ontspoorde casinokapitalisme van de Engelsen.

Kostschooljongetje Cameron
Ook op persoonlijk vlak verdient de nuchtere Duitse domineesdochter Merkel de voorkeur boven een streberig product van de Franse meritocratie - maar Sarkozy op zijn beurt weer duidelijk boven dat van een negentiende-eeuwse klassemaatschappij, het geaffecteerde kostschooljongetje Cameron, waar onze eigen corpsbalpremier het zo goed mee vinden kan.

Dat zou eveneens voor links Nederland, dat terecht aan een rechtvaardige verdeling van aardse goederen hecht, de oriëntatie moeten bepalen. Liever de 'Rijnlandse' christendemocraat Merkel - 'geen enkele manager is tienmiljoen euro waard' - dan de Angelsaksische 'socialist' Mandelson: 'ik voel mij totaal niet ongemakkelijk bij mensen die onsmakelijk rijk worden'. Ik wel. En ik hoop velen met mij.
 
Of, om een uitspraak van Margaret Thatcher om te keren: alle neoliberale financiële ellende kwam de afgelopen dertig jaar uit het Westen. De redding zal nu van de andere kant moeten komen. Go east, young men!

De huidige interne Europese machtsverschuiving zou ook consequenties voor ons vreemdetalen-onderwijs moeten hebben. Vergeet het Engels, leer Duits. De gisteren andermaal door De Volkskrant tot machtigste Nederlander gebombardeerde werkgeversvoorzitter Wientjes heeft al herhaaldelijk op het belang daarvan gewezen, maar kan geen ijzer met handen breken zolang Rutte en De Jager zelf linguïstisch in gebreke blijven.

Wat Nederland nodig heeft, is niet een premier die de lof zingt van New York, maar eentje die kennis heeft van Berlijn. Maar misschien krijgt, als de huidige gedoogcoalitie binnenkort onder Knots druk op de villasubsidie uiteenspat, Den Haag al snel een welkome herkansing.

Overigens liep het ook met Claudius Civilis in het Vierkeizerjaar politiek niet goed af.

Thomas von der Dunk is cultuurhistoricus en columnist van vk.nl.

Halliburton : Aux origines du complexe militaro-industriel américain

Halliburton : Aux origines du complexe militaro-industriel américain

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Depuis des décennies, Halliburton entretient des relations privilégiées avec le monde politique. Commencée sous Lyndon Johnson, cette complicité a fait de la firme l’un des principaux piliers du complexe militaro-industriel américain.

Wirtz va s’occuper de la partie légale. Je vais m’occuper de la politique, vous allez prendre en charge son aspect business. Nous allons ensemble trouver des solutions qui amélioreront notre position à tous les trois.  » En ce jour de 1937, quatre hommes se retrouvent discrètement dans une suite de l’hôtel Lama de Houston, au Texas. Le premier est Alex Wirtz : ancien sénateur de l’État devenu avocat, c’est l’un des hommes les plus influents du Texas. Le deuxième est un jeune homme au physique de représentant de commerce : Lyndon Baines Johnson.

A vingt-neuf ans, ce Texan pur jus cherche à se faire élire à la Chambre des représentants après un début de carrière prometteur dans les coulisses du Congrès à Washington. Quant aux deux autres, il s’agit des frères Brown, Herman et George. Depuis près de vingt ans, ils dirigent Brown & Root, une prospère entreprise de travaux publics, qui intervient principalement au Texas.

Ces quatre hommes n’en sont pas à leur première rencontre. Cela fait déjà plusieurs mois que, à l’initiative de Wirtz, ils se retrouvent dans la suite 8 F de l’hôtel Lamar, rejoints parfois par d’autres  » huiles  » du Texas, hommes politiques, journalistes ou industriels. On y parle affaires et politique et l’on s’y distribue les rôles, dans un subtil jeu d’influence où la corruption, les détournements de fonds et la fraude sont monnaie courante.

Ce jour-là, le jeune Lyndon Johnson a décidé de frapper très fort. Ambitieux, le jeune politicien sait qu’il aura besoin de beaucoup d’argent pour se faire une place à Washington et d’abord pour se faire élire à la Chambre des représentants, son premier objectif. Le marché qu’il propose à ses trois acolytes est des plus simples : aux frères Brown le financement de sa carrière politique en échange de l’attribution de marchés de construction ; et à Wirtz l’habillage légal des opérations contre de juteuses participations dans ces mêmes marchés. Un  » deal  » parfaitement rodé…

En 1962, Brown & Root, la firme fondée par les frères Brown, sera rachetée par Halliburton, l’un des principaux équipementiers pétroliers américains, donnant naissance à un géant de l’ingénierie et de la construction, très bien introduit au Pentagone. Entre-temps, les frères Brown auront versé des millions de dollars à Lyndon Johnson, lui permettant de franchir un à un les obstacles qui finiront par le mener à la présidence des États-Unis en 1963, au lendemain de l’assassinat de Kennedy.  » Sans les frères Brown, Johnson ne serait sans doute jamais arrivé là où il est arrivé « , écrit l’historien américain Robert A. Caro dans son livre Lyndon Johnson,  » The Path to Power  » (1983).

En retour, la firme, devenue partie intégrante de Halliburton, s’assurera de gigantesques contrats avec le Pentagone, décrochant des marchés truqués, devenant le principal fournisseur de l’armée américaine lors de la guerre du Vietnam. Le pli ne sera jamais perdu. En 1995, Halliburton s’assurera ainsi les services de l’ancien secrétaire à la Défense de George Bush Sr, le désormais célèbre Dick Cheney. Nommé PDG du groupe, celui-ci multipliera par cinq le montant des contrats signés avec le Pentagone, trustant littéralement les marchés de l’armée américaine.

Devenu le vice-président de George Bush­ ­­­Jr,­­­­ Dick Cheney n’oubliera pas son ancien employeur. Halliburton se taillera la part du lion dans les contrats de reconstruction en Irak, au grand dam de ses concurrents. De Lyndon Johnson à Dick Cheney, un même sens de l’intérêt commun…

Pour comprendre cette étonnante complicité, il faut remonter loin en arrière, à l’histoire des deux firmes qui uniront leur destin un jour de 1962 : celle d’Halliburton et de Brown & Root. qu’Erle Halliburton fonde la société qui porte son nom. Né en 1892 dans une famille pauvre du Tennessee, ce passionné de mécanique a commencé à travailler dès l’âge de quatorze ans, enchaînant les petits boulots avant de trouver une place chez Aldmond A. Perkins, une entreprise de construction de puits de pétrole du Texas. C’est là, alors que le boom du pétrole texan bat son plein, qu’il apprend le métier qui fera plus tard sa fortune : le bétonnage des puits, une technique encore peu employée et qu’il perfectionne.

En 1919, il décide de se mettre à son compte et fonde la New Method Oil Well Cementing Company, rebaptisée  » Halliburton Oil Well Cementing Company  » en 1924. Utilisant des techniques très innovantes, la firme s’impose très vite comme l’un des principaux équipementiers des États-Unis. Jusqu’à ce que la crise des années 1930 vienne remettre en cause son développement. Afin de compenser la chute de ses marchés, Erle Halliburton tente de se diversifier dans l’aviation de transport. Mais il se heurte au refus catégorique de l’administration. Amer, il professera toujours un grand mépris pour les politiciens de Washington.

Un énorme matelas de liquidités

Au début des années 1930, Erle Halliburton n’est pas le seul à s’interroger sur l’avenir de sa société. Au même moment, deux entrepreneurs des travaux publics cherchent eux aussi à surmonter la crise économique. Aussi dissemblables que possible, Herman et George Brown forment ensemble un duo d’une redoutable efficacité. L’aîné, Herman, est né au Texas en 1892, où son père tient un petit commerce. Introverti, ce travailleur acharné a commencé très jeune à travailler comme ouvrier dans les travaux publics. Charmeur et extraverti, George, lui, de six ans son cadet, a débuté en vendant des lapins et des journaux avant de s’inscrire à l’École des mines du Colorado, s’attirant ce commentaire prémonitoire de son professeur lors de sa remise de diplôme :  » Gagne son pouvoir grâce à sa capacité à se faire des amis. « 

Entre-temps, avec l’aide de son beau-frère Dan Root, Herman a créé, en 1919, sa propre société de construction de routes pour profiter du boom de l’automobile au Texas : Brown & Root. Ne sachant pas très bien quoi faire, George les rejoint au milieu des années 1920. Les deux frères comprennent aussitôt que pour se faire une place au soleil et prendre leur part des marchés publics, il leur faut tisser des relations étroites avec les décideurs, c’est-à-dire avec les élus de l’État et, au besoin, ne pas hésiter à mettre la main au portefeuille. Une attitude qui n’a rien de surprenant dans le Texas d’alors où les marchés truqués et la corruption sont monnaie courante. Habiles, les deux frères évitent dans un premier temps de soumissionner aux grands appels d’offres autoroutiers, se contentant de chantiers petits et moyens, moins risqués financièrement et qui leur permettent de se faire d’utiles relations parmi les élus locaux.

Lorsque la crise des années 1930 éclate, Brown & Root est assis sur un énorme matelas de liquidités qu’il distribue au gré de ses intérêts pour obtenir des contrats. En l’espace de dix ans, il est devenu l’un des interlocuteurs privilégiés de l’État du Texas, jouant de ses contacts pour obtenir des marchés. Comme ce contrat pour la collecte des ordures de la ville de Houston, qu’elle remporte grâce à l’intervention d’un élu de la ville, éleveur de porcs de son état. L’arrangement satisfait au plus haut point les deux parties : les déchets organiques sont en effet triés clandestinement et cédés pour rien à l’élevage de porcs pour servir de nourriture. Gagnant-gagnant…

Au milieu des années 1930 cependant, avec l’aggravation de la crise, les frères Brown cherchent à se mettre quelque chose de plus consistant sous la dent. Les immenses chantiers publics, lancés par Roosevelt dans le cadre du New Deal, leur en donnent l’occasion. Depuis quelque temps, Herman et George Brown sont en cheville avec Alvin Wirtz. L’ancien sénateur du Texas est désormais à la tête d’un cabinet d’avocats spécialisé dans les marchés publics. Toujours en quête d’argent, cet homme de l’ombre met son entregent et son carnet d’adresses au service des industriels du Texas, moyennant quelques  » compensations « . Au fil des années, il est devenu l’un des proches conseillers des frères Brown qui rémunèrent grassement ses prestations. Par Wirtz, les frères Brown ont également eu accès à James-Paul Buchanan, représentant du Texas au Congrès des États-Unis, mais aussi et surtout président du comité d’attribution des fonds du New Deal. Une relation en or !

En 1936, Wirtz, Buchanan et les frères Brown montent ainsi un coup de premier ordre : la construction d’un barrage sur la rivière Colorado. Pour obtenir le feu vert de l’administration fédérale, hésitante, Wirtz ne reculera devant rien, n’hésitant pas à modifier le tracé des cartes géographiques et utilisant largement les fonds de Brown & Root pour s’acheter la bienveillance de Buchanan. Avec succès. En 1936, Alvin Wirtz se fait fort opportunément nommer à la tête du Lower Colorado River Authority (LCRA), l’organisme chargé de mener à bien la construction du barrage Marshall Ford. A peine nommé, il désigne son client Brown & Root attributaire du marché. La firme n’a encore jamais construit de barrages…

La mort totalement inattendue de Buchanan, en 1937, vient un temps tout remettre en question. Par chance, l’homme qui brigue le siège du défunt est un proche ami de Wirtz, un politicien ambitieux dépourvu de moyens mais qui a l’immense avantage d’être proche de Lyndon Johnson. Aux frères Brown, qui s’inquiètent pour l’avenir, Wirtz promet le soutien de Johnson, en échange de son élection. Le deal se noue quelques mois avant les élections de 1937, lors de la fameuse rencontre à la suite F8 de l’hôtel Lamar de Houston. Quelques semaines après les élections et après une ultime intervention de Johnson auprès du président Roosevelt, la construction du barrage Marshall Ford est attribuée à Brown & Root.

C’est à cette occasion que la firme inaugure un type de contrat qui fera sa fortune : le  » cost plus « . Il prévoit le remboursement intégral des coûts de construction, majorés d’un pourcentage sur ces derniers versé au titre de la rémunération du contractant. Un système très juteux et qui pousse évidemment au gonflement des coûts. Illustration par l’exemple : estimée à une trentaine de millions de dollars environ, la construction du barrage Marshall Ford sera finalement facturée… 125 millions de dollars !

Entre Lyndon Jonhson et Brown & Root, les liens ne se distendront jamais. Durant la Seconde Guerre mondiale, c’est en grande partie grâce à l’élu du Texas que Brown & Root se reconvertit dans la construction de pièces détachées pour avions et de pistes d’aviation, mettant ainsi un pied dans les marchés militaires. En échange de ce  » service « , la firme de construction financera généreusement la campagne de Johnson pour les élections sénatoriales de 1948, obligeant même ses salariés à faire des versements individuels !

C’est encore Brown & Root qui mettra la main au portefeuille pour assurer sa désignation à la vice-présidence des États-Unis, en 1960, dernière étape avant la présidence trois ans plus tard. A titre de renvoi d’ascenseur, Brown & Root engrangera pour plusieurs centaines de millions de dollars de contrats avec l’armée – pistes aériennes, ports, bases militaires, ponts et routes – non seulement aux États-Unis mais aussi en Europe et en Asie, achevant ainsi de se muer en prestataire privilégiée du Pentagone.

Des activités partout dans le monde

La mort d’Erle Halliburton, en 1957, suivie de celle de Herman Brown, en 1962, met la dernière touche au tableau. Depuis le début des années 1950 et après le passage à vide des années 1930, la firme Halliburton a étendu ses activités partout dans le monde, construisant des puits de pétrole au Moyen-Orient, en Afrique et en Amérique latine. Mais la baisse régulière du coût du baril a fini par entamer ses revenus et la firme, désormais dirigée par les descendants de son fondateur, est à la recherche d’activités nouvelles. Quant à Brown & Root, que préside un George Brown vieillissant, elle est, elle aussi, en quête d’un avenir. Impensable du temps d’Erle – qui ne voulait rien avoir à faire avec les  » gens de Washington  » – et Herman – qui rechignait à partager le pouvoir -, le rapprochement des deux firmes est désormais possible.

Conclue à la fin de l’année 1962, sans doute encouragée par Washington, la cession de Brown & Root à Halliburton signe le mariage de deux entreprises texanes aux activités complémentaires – la construction pétrolière, les travaux publics et le génie civil – en même temps qu’elle marque l’alliance de la compétence technique et de l’influence politique, alliance d’une redoutable efficacité ! Dans l’affaire, l’entreprise conserve cependant l’essentiel : l’appui de Lyndon Johnson. De fait, lors de la guerre du Vietnam, Halliburton devient le plus gros employeur au Vietnam, avec 51.000 personnes occupées à construire l’infrastructure militaire américaine.

Entre 1965 et 1972, la firme engrangera, dans cette seule partie du monde, près de 400 millions de dollars de bénéfices, s’imposant comme l’un des principaux piliers du complexe militaro-industriel ! Par la suite, la firme fera de juteuses affaires en Iran, dans les Balkans, dans le Golfe et en Afrique du Nord – Dick Cheney tentera d’ailleurs de s’opposer à des sanctions contre la Libye de Khadafi où la firme est très présente -, profitant toujours pleinement de ses soutiens au plus haut niveau de l’État.

mardi, 15 novembre 2011

Gabriele Adinolfi au Parlement Européen (9 novembre 2011)

Gabriele Adinolfi au Parlement Européen

(9 novembre 2011)

USA-Tricks gegen Iran: Eine Analyse

USA-Tricks gegen Iran: Eine Analyse

John Lanta

Nur wenige Wochen nach dem wundersamen Attentatsversuch des Iran gegen den saudischen Botschafter in Washington, dessen Story so unglaubwürdig war, dass kein namhafter Politiker in Europa dazu Stellung nehmen wollte, erreicht uns jetzt eine Geschichte, an der man nicht so leicht vorbeikommt. Kennzeichen der Anklagen gegen den Iran wegen seines angeblichen Atomwaffenprogramms sind wenig gehaltvolle Vorwürfe, falsche Schlussfolgerungen und deren ständige Wiederholung über viele Jahre. 

Die Tatsachen sind: Der Iran erfüllt alle Wünsche der Wiener Atomkontrollbehörde IAEA (International Atomic Energy Agency), lässt auch über die vorgeschriebenen Kontrollen hinaus weitere Kontrollen zu, die nicht vorgeschrieben sind, ist berechtigt, ein friedliches Atomprogramm voranzutreiben – und WÄRE jederzeit berechtigt, mit der rechtlich festgelegten Kündigungsfrist von drei Monaten aus dem unterschriebenen Atomwaffensperrvertrag auszusteigen.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/europa/john-lant...

Panik an den Märkten: Zinsen für französische Staatsanleihen explodieren

Panik an den Märkten: Zinsen für französische Staatsanleihen explodieren

Michael Brückner

Paris unter Druck: Das Schuldenvirus hat Frankreich infiziert. Selbst das eilig vorgestellte Sparpaket, das in der Bevölkerung auf heftigen Widerstand stößt, konnte ein Übergreifen der Krise nicht verhindern: In Italien und Frankreich explodieren die Zinsen für Staatsanleihen. Seit Tagen schon wächst das Misstrauen der Investoren gegenüber Sarkozy und seiner Regierung.

 

 

Am Ende blieben nur noch Hohn und Spott für den langjährigen italienischen Ministerpräsidenten Silvio Berlusconi. Er werde mit einem Glas Chianti auf den angekündigten Rücktritt anstoßen, meinte ein Christdemokrat in Berlin. Und der designierte  Präsident des Europäischen Parlaments, Martin Schulz, nannte den ausscheidenden Regierungschef »das größte Standortrisiko eines G-8-Staates«. Zunächst hatte die Demission Berlusconis die Aktienmärkte noch beflügelt, doch schon wenige Stunden später geriet die Situation völlig außer Kontrolle. Die Renditen für zehnjährige italienische Staatsbonds stiegen auf atemberaubende 7,47 Prozent, auch die Preise für CDS (Kreditderivate) schossen nach oben. Kopp Online warnte im Zusammenhang mit dem Berlusconi-Rücktritt und den auch in anderen Ländern anstehenden Neuwahlen frühzeitig vor zunehmender innenpolitischer Instabilität mit der Folge einer weiteren Verschärfung der Euro-Krise. Nach dem Rücktritt des italienischen Premiers äußerte sich das Investmenthaus Goldman Sachs ähnlich und bezeichnete Neuwahlen in Italien als Worst Case. Davon scheinen die Marktteilnehmer nun aber mehrheitlich auszugehen. Deshalb haben sie sich geradezu panisch von italienischen Staatsanleihen getrennt.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/europa/michael-brueckner/panik-an-den-maerkten-zinsen-fuer-franzoesische-staatsanleihen-explodieren.html

lundi, 14 novembre 2011

De l'"intervention humanitaire" en Libye

De l’“intervention humanitaire” en Libye

 

Entretien avec le Prof. Dr. Vijay Prashad (Etats-Unis)

 

vijay-prashad.jpgLe professeur Vijay Prashad est né et a grandi à Calcutta en Inde; Il est aujourd’hui le directeur du département des “Etudes internationales” au Trinity College d’Hartford, dans le Connecticut aux Etats-Unis. Il est l’auteur d’une histoire du tiers-monde, intitulée “The Darker Nations”. Il nous déclare: “Il aurait été bien embarrassant de faire passer Khadafi devant un tribunal”. Notre professeur d’origine indienne ne critique pas seulement l’attaque de l’OTAN contre le convoi qui transportait Khadafi mais aussi l’assassinat de l’ancien dictateur libyen.

 

Q.: Prof. Prashad, nous venons de lire le bilan que vous tirez des 42 ans de règne de Khadafi. Comment jugez-vous l’assassinat du Colonel et de son fils Moutassim?

 

VP: La façon dont a été conduite l’attaque de l’OTAN contre le convoi, puis l’exécution de Khadafi, sont des faits particulièrement interpellants parce qu’ils sont en contradiction formelle avec les principes de l’ONU et de la Convention de Genève qui interdisent les exécutions perpétrées sans jugement. Philip Alston, qui fut jadis le porte-paroles de l’ONU, avait établi des critères très clairs, s’opposant aux assassinats délibérés ou aux meurtres “spontanés”. Je suis heureux d’apprendre que l’ONU fera enquête à propos de la mort de Khadafi, même si l’organisation ne pourra pas imposer des mesures sévères. Car elle enquêtera seulement sur l’espace-temps entre la capture de Khadafi et sa mort, et ne se penchera pas sur l’attaque aérienne contre le convoi qui le transportait, alors que ce convoi ne présentait aucun danger pour la vie de civils.

 

Q.: L’OTAN prétend le contaire: les véhicules auraient présenté un “danger considérable” pour la population civile...

 

VP: Vu la situation, cette affirmation est dépourvue de crédibilité. En quoi consistait donc le “danger considérable”? Nous devrions recevoir plus de preuves et non pas seulement nous contenter de cette affirmation. Qui est de nature irresponsable. Les affirmations de ce genre ne peuvent en rien constituer les bases rationnelles d’une explication. Y a-t-il des preuves que le convoi attaquait des civils? Comment l’oeil du ciel a-t-il pu le savoir? Si l’on tient compte de la longue histoire des tentatives d’assassinat par voie aérienne  —comme par exemple par le biais de drones—  on ne peut déduire, dans le cas qui nous préoccupe, qu’il y avait un combat réellement engagé. L’affirmation de l’OTAN ne me convainc pas.

 

Q.: Dans l’ensemble, l’attaque de l’OTAN contre la Libye peut-elle être qualifiée d’ “intervention humanitaire”?

 

VP: Si cela avait été une “intervention humanitaire”, au sens véritable du terme, l’OTAN aurait d’abord tenté d’amener les parties à une table de négociations pour chercher les bases d’une paix. Ensuite, l’OTAN aurait alors rapidement veillé à ouvrir des “corridors humanitaires” vers l’Egypte, la Tunisie, le Tchad et l’Algérie, pour permettre aux civils, coincés dans les villes assiégées, de fuir. Rien de cela n’a été fait. Dans le cas de la Libye, nous avons plutôt affaire à une forme guerrière d’“intervention humanitaire”. Elle parie sur une victoire militaire au lieu de parier sur un processus qui aboutirait à une solution pacifique du conflit. Car on voit désormais que la vengeance est à l’oeuvre et que sévissent des groupes armés dans tout le pays. C’est une terrible tragédie.

 

Q.: Y avait-il intérêt à faire taire Khadafi?

 

VP: Très probablement. Khadafi aurait eu beaucoup de choses à dire. Par exemple sur l’étroite collaboration entre le MI5 britannique, la CIA et les services secrets égyptiens qui utilisaient les prisons libyennes pour pratiquer la torture. Et cela n’aurait été qu’une anecdote parmi de nombreux faits... Khadafi aurait eu pas mal de choses à raconter sur Berlusconi. Ou sur les puissances arabes du Golfe, qu’il haïssait, et qui le haïssaient encore davantage.

 

Q.: Dans votre livre, vous faites une distinction entre le Khadafi des premières décennies de son règne et le Khadafi ultérieur...

 

VP: Oui. Je pense qu’il y a eu, pour parler simple, deux Khadafi. Les Etats inféodés à l’OTAN cherchent à faire oublier que le Khadafi de ces dernières années a été une sorte de réformateur néo-libéral et un allié contre le terrorisme. Le Khadafi des premières décennies, entre 1969 et 1988, fut un homme d’Etat soucieux de créer des “biens sociaux” pour son peuple. La population s’est habituée à être gâtée. Mais quel avenir attend aujourd’hui la Libye, selon les propres paroles du secrétaire général de l’OTAN? Elle aura des dirigeants pro-occidentaux, qui lui offriront une fausse liberté politique et lui imposeront le néo-libéralisme, afin de fabriquer une sorte de Dubai en Méditerranée. N’est-ce pas là le but déclaré?

 

(entretien paru dans DNZ, Munich, n°45/2011).

Krantenkoppen - November 2011 (1)

Krantenkoppen
 
November 2011 (1)
 
LE VAUCLUSE SORT DE L'EURO!
‎"Chacun pourra échanger ses euros contre des roues qui se présentent sous forme de billets de 1, 2, 5, 10, 20 et 50 tout juste sortis de 2 imprimeries de Pernes":
http://www.laprovence.com/article/economie-a-la-une/le-vaucluse-sort-de-leuro
 
 
UNASUR WIL ZUID-AMERIKAANS RUIMTEVAARTAGENTSCHAP OPRICHTEN:
‎"Bedoeling is zo snel mogelijk toegang te krijgen tot de ruimte, met een lanceerplatform en satellieten die in Zuid-Amerika worden gemaakt", verklaarde de (...) vergadering van de ministers van Defensie uit de UNASUR-landen:
http://www.demorgen.be/dm/nl/990/Buitenland/article/detail/1347130/2011/11/12/UNASUR-wil-Zuid-Amerikaans-ruimtevaartagentschap-oprichten.dhtml
 
 
AN EXAMPLE OF FOOD SOVEREIGNTY IN VENEZUELA:
‎"The cooperative started with 100% government support and now it is 80% self managed. The aim is to be fully self funded and then to help others. They wish to be an example for others to follow by raising consciousness that as campesinos, they can do it themselves":
http://americanfront.info/2011/11/11/a-example-of-food-sovereignty-in-venezuela/
 
 
BREIVIK'S '2083':
‎"The writer of 2083, too, is pro-Jew (so long as they are free of multicultural taint and pass his muster as right-wing Zionists), pro-gay, violently anti-Muslim and anti-Communist. His nearest analogue is Pim Fortuyn, the assassinated Dutch far-right Judeophile and gay politician. Breivik marched with the English Defence League (EDL), a British group set apart by its strongly pro-Jewish, anti-Muslim militancy":
http://openrevolt.info/2011/10/30/breiviks-2083/
 
 
'LIBYAN LIBERATION FRONT' FORMED TO RESIST US-NATO PUPPET REGIME:
‎"In the region known as the Sahel, former officials, operatives and supporters of the Gaddafi government are meeting on a daily basis to chart the next phase of the struggle to reclaim their nation":
http://panafricannews.blogspot.com/2011/11/libyan-liberation-front-formed-to.html
 
 
FRANSE INMENGING IN LIBIË WAS VAN EEN ANDERE ORDE DAN SARKOZY LIET UITSCHIJNEN:
"[Uit het boek] blijkt dat de zaken in Libië op het terrein enigzins anders verliepen dan men ons wilde doen geloven. Zo schrijft BHL dat:
1. Frankrijk niet één, maar verschillende wapenleveringen aan de Libische rebellen deed. Dat gebeurde via een omweg naar Qatar.
2. Frankrijk wel degelijk grondtroepen leverde. ‘Fransen die Arabisch praten, we hebben er jullie een aantal gestuurd en er komen er nog. Om hoeveel manschappen het gaat, is niet belangrijk,’ zei de Franse president Nicolas Sarkozy op 16 april tegen een diplomaat.
3. Hijzelf aan Sarkozy vroeg ‘om 300 elitetroepen naar Libië te sturen, samen met Engeland.’ Een verzoek waaraan volgens de filosoof 'gedeeltelijk' werd voldaan.
4. Tot aan het einde van de oorlog de gealliëerden een strategisch doelwit hebben gespaard: de privé-vertrek- en landingspiste van kolonel Gaddafi. Waarom? Ze wilden hem een uitweg bieden en hem tevens laten verstaan dat eens die piste gebombardeerd werd, het einde nabij was.
5. De Fransen een belangrijke rol speelden bij de val van Tripoli. Nadat op 17 augustus wapens waren gearriveerd via Misrata werd de Libische hoofdstad 4 dagen later ingenomen, dankzij de tussenkomst van Franse elitetroepen en manschappen uit de Emiraten en het Verenigd Koninkrijk. Hoe dat in zijn werk ging, schrijft BHL niet."
 
 
AL 30 JAAR SPRAKE VAN 'IRAANSE NUCLEAIRE DREIGING':
"Kort nadat West-Duitse ingenieurs de niet-afgewerkte reactor van Bushehr hadden bezocht, luidde het in 1984 volgens West-Duitse inlinchtingendiensten dat Iran 'de eindfase betrad' van de productie van een kernbom. De Amerikaanse senator A...lan Cranston zei dat Teheran 7 jaar verwijderd was van het maken van een atoombom.
In 1992 kwam een eerste waarschuwing uit Israël van toenmalig parlementslid - nu premier - Benjamin Netanyahu. Datzelfde jaar sprongen de VS voor het eerst op de kar toen een taskforce van het Huis van Afgevaardigden zei dat er '98% kans was dat Iran al alle (of virtueel alle) componenten had voor 2 of 3 operationele kernbommen'."
 
 
WITH PHILIP BLOND, AGE-OLD 'DISTRIBUTISM' GAINS NEW TRACTION:
"Distributism, a theory that argues that both capitalism and government are out of control:
What we are creating in our society is a new model of serfdom (...). The rhetoric of free markets has not produced free markets; it has produced closed markets and the nation's 'social capital' is declining, leaving behind isolated individuals and fractured families who must depend on Washington for support.
With a flurry of charts, Blond graphically demonstrated the breakdown of both social norms and the family unit -- and the growth of government to address those ills -- as well as the dominance of corporations and the rich in the current economy."
 
 
ISRAEL UND LIBYEN/ AFRIKA SOLL AUF 'KAMPF DER KULTUREN' VORBEREITET WERDEN:
"Der Yinon-Plan ist ein israelischer Strategieplan zur Garantie der israelischen Überlegenheit (...). Er fordert und drängt darauf, dass Israel seine geopolitische Umgebung über eine Balkanisierung des Nahen und Mittleren Ostens und der ar...abischen Staaten in kleinere und schwächere staatliche Gebilde umgestalten müsse.
Israelische Strategieexperten sahen den Irak als die größte strategische Herausforderung seitens eines arabischen Staates an. Aus diesem Grunde stand der Irak im Zentrum der Balkanisierung des Nahen und Mittleren Ostens und der arabischen Welt. Auf der Grundlage der Konzepte des Yinon-Plans haben israelische Strategen die Aufteilung des Irak in einen kurdischen Staat und 2 arabische – einen schiitischen und 1 sunnitischen – Staaten gefordert. Den ersten Schritt zur Umsetzung dieser Pläne bildete der Krieg zwischen dem Irak und dem Iran, der schon im Yinon-Plan (...) erörtert worden war.
Die Zeitschrift The Atlantic und das amerikanische Armed Forces Journal veröffentlichten beide 2006 weitverbreitete Karten, die sich an den Konzepten des Yinon-Plans orientierten. Neben einem dreigeteilten Irak, den auch der sogenannte »Biden-Plan« des heutigen amerikanischen Vizepräsidenten Joe Biden vorsah, setzte sich der Yinon-Plan auch für eine Aufteilung des Libanon, Ägyptens und Syriens ein. Auch die Zersplitterung des Iran, der Türkei, Somalias und Pakistans passt in das Konzept dieser Politik. Darüber hinaus befürwortet der Yinon-Plan eine Auflösung [der existierenden staatlichen Strukturen] Nordafrikas, die, so prognostiziert er, von Ägypten ausgehen und dann auf den Sudan, Libyen und den Rest der Region übergreifen werde."
 
 
5000 HOMMES DES FORCES SPECIALES AVAIENT ETE DEPLOYEES EN LIBYE:
‎"Les Qatariens sont arrivés avec des valises remplies d’argent, ce qui leur permit de retourner des tribus":
 
 
QATAR ADMITS IT HAD BOOTS ON THE GROUND IN LIBYA:
‎"Qatar revealed for the first time on Wednesday that hundreds of its soldiers had joined Libyan rebel forces on the ground as they battled troops of veteran leader Muammar Qaddafi":
http://www.alarabiya.net/articles/2011/10/26/173833.html
 
 
LIBYE: LE QATAR REVELE LA PARTICIPATION DE CENTAINES DE SES SOLDATS: 
‎"Des centaines de soldats du Qatar ont participé aux opérations militaires aux côtés des rebelles en Libye, a révélé mercredi le chef d'état-major qatari, le général Hamad ben Ali al-Attiya. (...) Nous assurions la liaison entre les rebelles et l'Otan, a-t-il ajouté en marge d'une réunion à Doha des chefs d'état-major des pays engagés militairement en Libye":
http://www.romandie.com/news/n/_Libye_le_Qatar_revele_la_participation_de_centaines_de_ses_soldats261020111210.asp
 
 
VAN LIBIË NAAR GUATEMALA: WIE HET VERLEDEN KENT, BEGRIJPT HET HEDEN BETER:
‎"Zal het nu ook 50 jaar duren voor we erkennen dat de Franse inlichtingendiensten en de CIA betrokken waren bij de organisatie van de 'volksopstand' in Benghazi? Zal het ook 50 jaar duren voor we erkennen dat er geen sprake was van massale slachtpartijen voor de bombardementen van de NAVO begonnen? Zal het ten slotte 50 jaar duren voor de media erkennen dat ze zich ook voor deze oorlog gewillig hebben laten gebruiken, voor de massale slachtpartijen door de rebellen worden erkend en vervolgd?":
http://www.dewereldmorgen.be/artikels/2011/10/26/van-libie-naar-guatemala-wie-het-verleden-kent-begrijpt-het-heden-beter
 
 
BELARUS PREPARES FOR GLOBALIST AGGRESSION:
‎"The Belarusian government has announced the creation of a new citizen army of up to 120.000 people. President Lukashenko told reporters in Grodno: 'If we ever have to be at war, we are men, we have to protect our homes, families, our land. It is our duty'."
http://americanfront.info/2011/11/06/belarus-prepares-for-globalist-aggression/
 
 
PERON ON THE DEATH OF CHE:
‎"Today (...) a hero fell, the most extraordinary young man to give his life to the revolution in Latin America, Comandante Ernesto Che Guevara. His death breaks my heart because he was one of us, perhaps better than us all, an example of selfless behavior, the spirit of sacrifice and renunciation. The strong belief in the righteousness of the cause he embraced, gave him the strength and courage, courage that today elevated him to the status of hero and martyr":
http://openrevolt.info/2011/11/04/peron-on-che/ 
 
 
‎03-11-2011: HUGE SYRIAN DEMONSTRATION IN DAMASCUS:
In support of Syrian President Bashar Al-Assad with speech by an Italian delegation of 'Coordinamento Progetto Eurasia':
http://www.youtube.com/watch?v=KaH1Za_PI9U
 
 
DES MUSULMANS MANIFESTENT CONTRA LA CHRISTIANOPHOBIE EN FRANCE:
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=i9dunOXRWdQ
 
 
VS MOET LUCHTMACHTBASIS IN KIRGIZIË IN 2014 SLUITEN:
‎"De VS moeten in 2014 hun militaire basis in Kirgizië, die van strategisch belang is voor de Amerikaanse operaties in Afghanistan, verlaten. (...) Op de basis passeren elke maand tienduizenden militairen die in Afghanistan actief zijn":
http://www.demorgen.be/dm/nl/990/Buitenland/article/detail/1342149/2011/11/01/VS-moet-luchtmachtbasis-in-Kirgizie-in-2014-sluiten.dhtml
 
 
5.000 SCHAPEN PALMEN MADRID IN:
‎"Spaanse herders zijn zondag met grote kuddes schapen door het centrum van Madrid getrokken ter verdediging van eeuwenoude weide-, migratie- en veedrijversrechten. Die rechten worden bedreigd door stedelijke wildgroei en kunstmatige grenzen":
http://www.standaard.be/artikel/detail.aspx?artikelid=DMF20111030_036
 

vendredi, 11 novembre 2011

La Libye sous le pouvoir des milices islamistes. Point de situation

La Libye sous le pouvoir des milices islamistes

Point de situation.

 
 
Bernard LUGAN

Ex: http://bernardlugan.blogspot.com/

Les nouvelles images du lynchage du colonel Kadhafi qui commencent à être diffusées sur le net annoncent un « hiver libyen » plein de douceurs et de mièvreries… Mais au-delà de la mort atroce de l’ancien chef de l’Etat libyen, quelle est la situation sur le terrain au moment où ces lignes sont écrites ?
 
Plus que jamais, le CNT ne représente que lui-même et c’est d’ailleurs pourquoi il  demanda avec une grande insistance, mais en vain, que l’Otan maintienne sa présence. Ce pseudo gouvernement sait en effet qu’il porte un péché originel : celui d’avoir été mis en place par l’Otan, donc par les « impérialistes » et les « mécréants ». Ses lendemains vont donc être difficiles. D’autant que ses principaux dirigeants, tous d’anciens très hauts responsables de l’ancien régime et donc des « résistants de la dernière heure », commencent à être mis en accusation par certains de ces chefs de guerre qui détiennent désormais les vrais pouvoirs.
 
Le président du CNT, Mustapha Abd el Jalil, a déclaré que la charia serait désormais la base de la Constitution ainsi que du droit, que la polygamie, interdite sous Kadhafi, serait rétablie et que le divorce, autorisé sous l’ancien régime, était désormais illégal. Enfermé dans leur européocentrisme, les Occidentaux ont considéré que ces déclarations étaient « maladroites ». Leur erreur d’analyse était une fois de plus totale car ces propos à but interne étaient destinés à amadouer les milices islamistes auxquelles le pouvoir du CNT est suspendu. Pour mémoire, Mustapha Abd el Jalil, l’ami de BHL, était le président de la Cour d’appel de Tripoli qui, par deux fois, confirma la condamnation à mort des infirmières bulgares et en 2007, le colonel Kadhafi le nomma ministre de la Justice. En dépit de son passé kadhafiste, Abd el Jalid est pourtant respecté par certains islamistes car il est proche des Frères musulmans, mais son pouvoir ne dépasse pas son tapis de prière.
 
La Libye est en effet éclatée entre plusieurs zones contrôlées par des chefs de guerre jaloux de leur autonomie et prêts à s’entre-déchirer, comme en Somalie. Ces territoires ont tous une ouverture sur la mer et une profondeur vers l’intérieur pétrolier ou gazier, ce qui fait que, comme je le disais il y a déjà plusieurs semaines déjà, le pays est aujourd’hui découpé en « touches de piano ».
 
Benghazi est sous le contrôle de plusieurs milices islamistes, elles-mêmes éclatées en un grand nombre de petits groupes plus ou moins autonomes, mais c’est à Tripoli que se joue l’unité de la Libye.
 
Dans la capitale, le chef du CNT, Mustapha Abd el Jalid s’appuie sur le TMC (Tripoli Military Council) qui engerbe plusieurs milices islamistes pouvant mobiliser entre 8000 et 10 000 combattants. Le chef du TMC, originaire de Tripoli, est Abd el-Hakim Belhaj dit Abu Abdullah Assadaq. Ayant combattu en Afghanistan, ce partisan du califat supra frontalier fonda le Libyan Islamic Fighting Group dans les années 1990. Ayant fui la répression anti islamique du régime Kadhafi, il retourna en Afghanistan où il fut arrêté en 2004 puis remis à la police libyenne avant d’être libéré au mois de mars 2010, à la veille de l’insurrection de Benghazi.
 
Durant la guerre civile, le TMC fut armé et encadré par les services spéciaux du Qatar et il reçut une aide « substantielle » de la part de certaines unités « spécialisées » de l’Otan. Ce fut lui qui prit d’assaut  le réduit de Bab al-Aziya à Tripoli. Plusieurs autres milices islamistes se partagent la ville et n’acceptent pas le leadership reconnu au TMC par Mustapha Abd el Jalil. Pour encore compliquer l’embrouille locale, le 2 octobre, fut fondé le Tripoli Revolutionists Council ou TRC, par Addallah  Ahmed Naker al-Zentani, originaire de Zentan mais indépendant des milices berbères de cette dernière ville.
 
A Misrata, les milices se considèrent comme l’élite des révolutionnaires et leur prestige est immense depuis qu’elles ont capturé le colonel Kadhafi. Ce furent certains de leurs hommes, gentils démocrates si chers aux médias français, qui lynchèrent et sodomisèrent vivant l’ancien guide et qui, comme « trophée », emportèrent son corps dans leur ville.
 
Misrata est sous le contrôle du Misurata Military Council (MSR), qui engerbe plusieurs milices dont la principale est la Misurata Brigade. La situation est cependant confuse car les combattants sont divisés en plusieurs dizaines de groupes commandés par des chefs indépendants rassemblant au total plusieurs milliers d’hommes. A la différence du TMC, le MSR n’a pas besoin d’aide étrangère car il dispose d’énormes quantités d’armes pillées dans les arsenaux de l’ancienne armée.
 
Les miliciens de Misrata ont une forte tendance à l’autonomie et ils ne semblent pas vouloir accepter de se soumettre au CNT. De plus, ils se méfient des originaires de Benghazi. Pour pouvoir espérer prendre le contrôle de la ville, le CNT devra donc, comme à Tripoli, s’appuyer sur certaines milices contre les autres, ce qui promet bien des « incidents ». Des tentatives de rapprochement ont été faites en direction de Salim Joha, chef de l’Union on Libya’s Revolutionary Brigades, mais rien de concret ne s’est produit pour le moment. Le CNT pourrait également tenter d’amadouer Misrata en nommant Abdul Rahman Swehli Premier ministre, ce qui lui permettrait du même coup d’échapper à la main-mise des clans de Benghazi.
 
Autre zone ayant échappé au contrôle du CNT, le pays berbère de Zentan avec sa puissante milice ancrée sur djebel Nefuza. Ce furent les Berbères qui permirent l’assaut sur Tripoli en prenant à revers les forces de Kadhafi, opération préparée par les forces spéciales de l’Otan.
 
Zentan  est contrôlée par le Zentan Military Council (ZMC), dont les milices arborent le drapeau amazigh. Militairement, les milices berbères sont les mieux formées de toute la Libye, leurs cadres étant d’anciens officiers libyens. Les deux principales unités berbères sont la Zentan Brigade commandée par Muktar al-Akdhar et la Kekaa Brigade, chacune forte d’environ 1000 combattants. Ces milices ont refusé de quitter Tripoli en dépit des ordres du CNT, ce qui provoqua de graves tensions. Le 3 octobre, après un ultimatum du CNT, la Brigade Kekaa se livra même à une véritable tentative d’intimidation, paradant dans Tripoli et attirant la réplique des islamistes. La guerre civile fut alors évitée de justesse, mais ce n’est que partie remise…
 
Ceux qui, poussés par BHL, décidèrent d’intervenir en Libye et de s’immiscer dans une guerre civile qui ne concernait en rien la France, vont désormais porter la très lourde responsabilité des évènements dramatiques qui s’annoncent et qui vont se dérouler à quelques heures de navigation de nos côtes.
 
Bernard Lugan
29/10/11

jeudi, 10 novembre 2011

La Guerre humanitaire de la NED et de la FIDH en Syrie

La Guerre humanitaire de la NED et de la FIDH en Syrie

Ex: http://mbm.hautetfort.com/
     

La National Endowment for Democracy, ou la NED, est une organisation qui se présente comme une ONG officiellement dédiée “à la croissance et au renforcement des institutions démocratiques dans le monde”. Mais en réalité il s’agit d’un organisme financé à hauteur de 95% par le congres des États-Unis. C’est sous l’administration Reagan que sa création fut officialisée en 1982.

La nature de la NED a conduit de nombreux intellectuels et chercheurs contemporains à la décrire comme une officine permettant aux services secrets américains de renverser les régimes qui ne conviennent pas au Département d’État. 
Cette critique fut notamment étayée par les propos d’Olivier Guilmain, chercheur au CECE (Centre d’Etudes Comparatives des Elections), lors d’une session d’information au Sénat français portant sur l’encadrement financier du processus électoral. En effet, la NED finance des partis d’opposition dans de nombreux pays et prête une assistance particulière aux exilés et opposants des régimes visés par le département d’État US. 

En Syrie, Le Damascus Center for Human Right Studies est l’organisation principale de la NED. Elle est également partenaire de la FIDH (Fédération internationale des droits de l’homme). Cette dernière a reçu 140 000$ U.S de la part de la NED suite à une réunion entre Carl Gershman et de prétendues organisations de droits de l’homme françaises. L’interlocuteur français de la NED fut François Zimeray, l’ex-Ambassadeur pour les droits de l’homme de l’ex-Ministre des Affaires Etrangères Bernard Kouchner. Lors de cette réunion qui s’est tenue en Décembre 2009, étaient présents : le Comité Catholique contre la Faim et pour le Développement (CCFD) ; la section africaine de l’AEDH (Agir Ensemble pour les Droits de l’Homme) ; Reporters Sans Frontières ; SOS Racisme et la FIDH.

La Fédération Internationale des droits de l’Homme est donc un partenaire officiel de la NED comme le montre par ailleurs son soutien aux allégation de l’ex-secrétaire général de la Ligue Libyenne des Droits de l’Homme – elle aussi rattachée à la FIDH- à l’encontre du gouvernement de Mouammar Kadhafi. Cette dernière, également appuyée par l’ONG U.N Watch, est à l’origine des procédures diplomatiques à l’encontre de la Jamahiriya Arabe Libyenne.

En Syrie, le Dr Radwan Ziadeh est le directeur du Damascus Center for Human Rights Studies. Sa biographie, plus qu’impressionnante démontre son engagement en faveur de la politique étrangère des États-Unis au Moyen Orient. Il est en effet notamment membre de la Middle East Studies Association (MESA) et est le directeur du Syrian Center for Political and Strategic Studies à Washington. Il était également présent aux côtés d’Aly Abuzakuuk - un des responsables de la NED en Libye - lors de la Table Ronde des Democracy Awards, la récompense remise aux “militants des droits de l’homme” par la NED.

Il existe par ailleurs de fortes similitudes entre le processus de la Guerre Humanitaire en Libye et celui qui est en cours d’élaboration à l’encontre de la Syrie. En effet, U.N Watch, organisation qui coordonne les pratiques de la NED et de la FIDH à Genève, a déjà lancé plusieurs pétitions à l’encontre du régime de Bachar Al-Assad. Pour ce faire les mêmes allégations de massacres que celles promues par l’ex-secrétaire de la Ligue Libyenne des Droits de l’Homme Sliman Bouchuiguir au Conseil des Droits de l’Homme des Nations Unies, sont dors et déjà mises en avant à l’encontre de la Syrie.

Il est donc urgent de dénoncer ces procédures, d’autant plus que l’histoire récente nous montre que ces allégations n’ont pas été vérifiées dans le cas libyen mais également qu’elles ne reposent sur aucune preuve solide contrairement à ce qu’avance la Cour Pénale Internationale.

Julien Teil

 

Note

Cet article est également mis en ligne sur le site de Julien Teil, La Guerre Humanitaire. C’est lui qui a réalisé le film sur “La guerre humanitaire”, sur la Libye, que nous avons présenté le 18 octobre 2011

Libië onder Kolonel Muammar el-Kadaffi: solidarisme in praktijk

 
 

kadaffi

Libië onder Kolonel Muammar el-Kadaffi: solidarisme in praktijk

Kris ROMAN

Ex: http://n-sa.be

40 jaar oorlog tegen Libië

Sinds kolonel Muammar el-Kadaffi in 1969 aan de macht kwam, trachtten Westerse mogendheden – met de Verenigde Staten op kop – hem al fysiek uit te schakelen. Men kan gerust spreken over 40 jaar van geheime oorlogsvoering tegen Libië. Kadaffi verwijderde immers de corrupte Britse vazal koning Idris I en haalde zich daarmee de vijandschap op de hals van Frankrijk, Groot-Brittannië, Israël en de VS. We beginnen met een overzicht:

In 1971 planden de Britten een regelrechte invasie van Libië.

In 1977 waren er grote rellen met Egyptische immigranten. Kadaffi besloot om de immigranten/gastarbeiders zonder veel medelijden te remigreren. Daardoor vonden er tussen Libië en Egypte enkele militaire grensconflicten plaats. Amerikanen en Britten stelden aan president Sadat voor om Libië binnen te vallen en Kadaffi te verdrijven. Om dezelfde reden – uitwijzing van Tunesische gastarbeiders – botsten Libië en Tunesië zeer hevig.

In 1980 steunden Franse militairen een opstand, maar de Franse geheime interventie draaide uit op een fiasco.

In 1982 voerde de CIA verschillende operaties uit om Kadaffi fysiek te elimineren. Zij infiltreerden vanuit Tsjaad.

In 1984 stond het opruimen even hoog op de agenda van de VS als de zogenaamde ‘dreiging’ van de Sovjet-Unie.

In 1985 ondersteunde het Westen een opstand, die door de trouwe troepen van Kadaffi werd neergeslagen.

 

In 1986 bombardeerden Amerikaanse bommenwerpers Libië. Acht van de achttien vliegtuigen werden speciaal voorzien om Kadaffi persoonlijk te vinden, te beschieten en op te ruimen. Iets later vond er een luchtgevecht plaats tussen Libische en Amerikaanse toestellen. Amerikanen en Britten richtten de Libische oppositie op, met Londen als uitvalsbasis.

Tijdens de Iraaks-Iraanse oorlog in 1980-1988 stond Libië, samen met Yemen, Syrië, Soedan en Algerije aan de kant van Iran. Irak werd gesteund door Saoudi-Arabië, Egypte, Koeweit, Jordanië, Marokko en Tunesië. Irak kreeg wapens van de VS en hulp van de CIA.

Vanaf 1990 ondersteunden Fransen en Britten verschillende acties om Kadaffi te vermoorden en ze gebruikten hiervoor de (marionetten)regering van N'djamena (Tsjaad).

In 1994 werd een granaataanslag gepleegd op Kadaffi. Kadaffi reageerde keihard tegen de islamistische oppositie.

In 1996 trachtten islamisten opnieuw om Kadaffi te verdrijven, met duizenden doden als gevolg van de militaire botsingen.

Er vonden nog zware onlusten plaats tegen het regime, meer bepaald in 1998, 2002 en 2004. De islamistische Libyan Islamic Fighting Group (LIFG), ondersteund door Londen, voert een smerige oorlog tegen het regime.

Op 17 februari 2011 werd vanuit Londen via Facebook een oproep tot oproer georganiseerd. Deze zwol aan tot een gruwelijke burgeroorlog waar het Westen op militair gebied de rebellen ondersteund. Dit was de 39ste poging tot staatsgreep tegen kolonel Kadaffi in 40 jaar.

Met het einde van kolonel Kadhafi eindigde tevens de NAVO-oorlog in en tegen Libië. Het Libische leger was geen partij voor de NAVO, ook wel eens het private leger van de internationale bankiers genoemd. Vanaf de eerste dag van NAVO-agressie kon men zelfs zonder glazen bol voorspellen dat het einde van het Kadaffi-regime enkel een kwestie van tijd zou zijn. De geopolitiek ongeschoolde massa danst heden op het lijk van een man die meer moed had dan menig West-Europees politicus. Kadaffi zei ooit te zullen strijden tot het einde, wat ook zo geschiedde.

Sommigen denken dat de Libiërs het nu beter gaan krijgen. Men kan het verband leggen met Operation Iraqi Liberty (OIL!), de aanval op Irak.

Donderdag 20 oktober 2011, kort na de middag, werd de dood van kolonel Muammar el-Kadaffi door de Libische Nationale Overgangsraad gemeld. NAVO-vliegtuigen hadden een konvooi vluchtelingen gebombardeerd waarin ook Kadhafi zich bevond. De overlevenden trachtten hun leven te redden door rioolbuizen in te vluchten. Een gewonde Kadaffi werd naar buiten gebracht en daar door de Tijgerbrigade van de Misrata-stam gelyncht.

Deze stam is in de Overgangsraad amper vertegenwoordigd. In juli van dit jaar (2011) heeft Kadaffi deze stam letterlijk vervloekt en aangeraden te verhuizen naar Istanbul of Tel Aviv. Hiermee verwees hij naar het feit dat deze stam de voortkomt uit Turkse joden die zich tot de islam hebben bekeerd.

Met het lynchen van Kadaffi wordt aangetoond dat de rebellen van de Nationale Overgangsraad – vanaf de eerste dag gesteund door de NAVO – niet vies zijn van criminele handelingen. Een krijgsgevangene executeren valt onder de noemer 'oorlogsmisdaden'. Wie de geschiedenis een klein beetje kent, weet dat de overwinnaar alles ongestraft kan en mag doen. De NAVO kan vrijuit doen waar anderen, soms voor veel minder, voor gestraft werden.

Ten tijde van het Tribunaal van Nürnberg werden Duitse hogere officieren opgeknoopt, omdat sommige Duitse diensten waren overgegaan tot het executeren van gearresteerde en gevangen genomen personen. Dit gebeurde na een (schijn)tribunaal. De executie van Kadaffi was totaal illegaal. Er werd geen rechtbank opgericht om Kadaffi te veroordelen. De executie heeft meer weg van moord op voorbedachte rade. Hillary Rodham-Clinton, de Amerikaanse minister van Buitenlandse Zaken van de VS, riep op om Kadaffi gevangen te nemen en/of te doden. Aldus geschiedde. Toen ze de bloederige beelden van de dode en mishandelde Kadaffi zag, wist ze met haar vreugde letterlijk geen blijf.

‘Misdaden tegen de mensheid!’, ‘chemische wapens !’ - Waar hebben we dat nog gehoord?

Politiek gevormde mensen kennen de vaste scenario's hoe men evolueert van plannen om een bepaald land en/of regime aan te vallen naar echte aanvallen. Voorafgaand aan de aanval moet de massa worden gehersenspoeld, klaargestoomd voor de oorlog.

De westerse mogendheden stichtten de afgelopen tien jaar de nodige structuren voor wereldwijde interventies: de VN-Veiligheidsraad en het Internationaal Strafhof. Beide functioneren politiek, wat betekent dat ze selectief te werk gaan. Hiermee wordt aangetoond dat ze zeker niet de instrumenten zijn van een rechtsstaat. De internationale gemeenschap (wie zijn dat?) vond jaren geleden de term 'humanitaire interventie' uit. Daar bestaat nu een nieuwe term voor: R2P (Responsibility to Protect).

Hoe gaat men te werk? Massamedia stellen plots vast dat een onwillig staatshoofd de eigen bevolking slecht behandelt. De massa krijgt de gruwelijkste verhalen op het scherm te zien. De meeste van die verhalen zijn geënsceneerd. Steeds vinden de media wel een plaatselijke bewoner die ‘als enige de gruwel van het regime heeft overleefd’ en ... vlot Engels praat. Aan de taal van deze 'toevallige getuige en overlevende' kan men horen dat de man in het buitenland heeft gestudeerd. De VN-Veiligheidsraad verklaart vervolgens het geviseerde land of regime schuldig aan ‘misdaden tegen de mensheid’. De VN manen dan met een of andere resolutie het staatshoofd aan om te stoppen met het afslachten van de eigen bevolking. Dit is onmogelijk, want meestal slacht het geviseerde staatshoofd zijn volk niet af. Het enige wat het regime doet, is de westerse infiltranten aanpakken. En terecht. Dan ontstaat er plots een Nationale Overgangsraad. Vervolgens komen er sancties en zachte militaire interventies, zoals een ‘no-flyzone’ boven het grondgebied, als deel van hun officiële opdracht: ‘het beschermen van de burgerbevolking’. Er mogen geen eigen militaire vliegtuigen boven het geviseerde land of boven een deel ervan vliegen. Uiteraard mogen NAVO-vliegtuigen dat wel. Als kers op de taart tonen onduidelijke satellietbeelden telkens weer dat ‘er in het bewuste land chemische wapens aanwezig zijn’. Ook al spreken deskundigen dit tegen, de media blijven de leugen over massavernietigingswapens verspreiden. De massa moet immers nog meer huiveren en nog meer gaar gemaakt worden voor oorlog. Na de oorlog spreekt men niet meer over de niet-gevonden chemische wapens. Het geheugen van de massa is zoals het geheugen van een goudvis: heel kort. Derde (tot de tanden bewapende) staten – meestal de VS – krijgen op gegeven ogenblik de 'verantwoordelijkheid' om de interventie uit te voeren, zonder rekenschap te moeten geven, zelfs niet meer aan de Veiligheidsraad. Indien nodig komen er zelfs grondtroepen aan te pas (bijv. Afghanistan en Irak). Na het tot het stenen tijdperk bombarderen van het bewuste land, worden het staatshoofd en zijn medewerkers gevangengenomen. Soms wordt de opstandige politieke leider zonder eerlijk proces ter dood gebracht en anoniem begraven. Als ze de arrestatie overleven, wat laatste jaren heel onwaarschijnlijk blijkt, richt het Internationaal Strafhof zich op de rebellerende politieke leiders om ze voor de rechtbank te trekken en te vervolgen. Ook achter de tralies is hun leven niet gegarandeerd. Milosevic (Servië) kan er vanuit het hiernamaals van meespreken.

Bismarck stelde het al: “Er wordt nooit zoveel gelogen als vóór de verkiezingen, tijdens de oorlog en na de jacht.”

De interventie zou in Libië niet mogelijk geweest zijn zonder de steun en tussenkomst van andere Afrikaanse regimes. Soms gebeurde die steun onbedoeld. Het is alsof sommige Afrikaanse leiders steeds achterlopen tijdens het (geo)politieke schaakspelen.

Op de wereldtop van de VN van 2005 werd R2P algemeen aanvaard. R2P stelt dat 'de soevereiniteit van een staat geen waarde heeft indien de rechten van de mens worden geschonden'. R2P werd in 2000 door de Canadese regering uitgewerkt en als eerste overgenomen door de Afrikaanse Unie, om 'conflicten op het Afrikaanse continent op te lossen'. De Afrikaanse leiders hebben het Westen zo een vrijbrief gegeven om Libië aan te vallen.

De westerse (trans-Atlantische) media beschikken al langer over een resem verwijten en goed voorbereide commentaren om de aandacht over de gruwelijke dood van het tegen de ‘New World Order’ (dixit papa Bush sr.) rebellerende staatshoofd af te leiden. Westerse politieke leiders begroetten de dood van Kadaffi als een einde van ‘Operatie Unified Protector’. Ze gaven de facto toe dat het niet ging om resolutie 1973 van de VN toe te passen, maar om een regimewissel en het vermoorden van de politieke leiders van dat land, ook al gaat dit uitdrukkelijk in tegen de Amerikaanse Grondwet. Kadaffi zou zich voor elke ernstige rechtbank makkelijk kunnen vrijpleiten. Na twee jaar was een andere 'slechte jongen', Slobodan Milojevic, nog niet veroordeeld omdat men niets tegen hem kon inbrengen. Zijn einde in de gevangenis kan men als hoogst vreemd omschrijven. Officieel had hij een ziekte waaraan hij zomaar plots stierf.

Er werd en wordt veel gelogen over Kadaffi. Zelfs over zijn zogenaamde 'riante levensstijl'. Hij zou zich als een ware stinkend rijke farao gedragen hebben. Getuigen vertellen dat de man de eenvoud zelve was. Hij weigerde steevast dure hotels en sliep ook in het buitenland in zijn tent. In Libië leefde hij zoals de betere burgerij, niet zoals Amerikaanse of Israëlische miljardairs. De media zijn zeer zwijgzaam over het feit dat Kadaffi electorale campagnes van Nicolas Sarkozy en Ségolène Royal heeft gesponsord.

De media zeggen niets over de vele goede werken die hij liet uitvoeren, zoals het herverdelen van de oliewinsten, het onderdak geven aan Palestijnse vluchtelingen, het aanleggen van de Man Made River (de grootste irrigatiewerken ter wereld) en hulp aan de Derde Wereld, wat in zijn geval begrijpelijk is. (Minder begrijpelijk voor de in crisis zijnde Europese regeringen die aldus weigeren het 'Eigen volk eerst-principe' toe te passen.)

De media zwijgen over de wekelijkse vrijdagsbetogingen waar massaal veel Libiërs voor op straat kwamen om hun Leider te steunen. Het merendeel van de Libiërs betoogde tegen de NAVO, tegen de Nationale Overgangsraad en voor Kadaffi. Zelfs na de val van Tripoli bleef de bevolking Kadaffi massaal steunen.

De media namen graag een het verhaal over van een zekere Iman al-Obeidi. Deze vrouw verklaarde verkracht te zijn door de troepen van Kadaffi. Achteraf bleek deze vrouw een aan de drank zijnde prostituee te zijn. Haar officieel erkende psychische problemen kreeg ze er van woestijngoden gratis bij.

De media vergeten graag dat Kadaffi goede maatjes was met de Europese Unie. In oktober 2010 stemde de EU nog in met een contract voor een waarde van 50 miljoen dollar in ruil voor inspanningen om de vluchtelingenstroom naar Europa tegen te gaan. Libië werd goed onthaald om mee te investeren in Europese investeringsfondsen. Kadaffi is aandeelhouder van de bank UniCrédit, Fiat, voetbalclub Juventus, en andere. Kadaffi bracht afgelopen jaren verschillende bezoeken aan Europa. In 2007 werd hij door de Franse president Sarkozy ontvangen. Die laatste wuifde alle kritiek weg met het argument 'dat hij voor 10 miljard euro aan commerciële contracten had gesloten’.

In 2008 exporteerde België voor 141 miljoen euro naar Libië. Kadaffi mocht in 2004 al zijn tenten opslaan voor Hertoginnendal. De liberalen Guy Verhofdtadt, Herman De Croo en Louis Michel ontvingen de Libische leider met de grootste eer die men iemand maar kan geven. De Waalse 'linkse' regering, met PS, CDH en Ecolo, keurden wapenleveringen aan Libië goed. (In 2002 keurde Magda Aelvoet van Agalev/Groen als lid van het Belgisch kernkabinet eveneens een wapenlevering aan Nepal goed.) Groen toont aan dat het een hypocriete partij is. Voor de achterban spelen ze de schone maagd, maar eens de vetpotten naderen, lijken ze op de socialisten: het is makkelijker om een hond voorbij een worst te laten lopen dan een socialist voorbij geld dat niet van hem is. Dit geldt eveneens voor de dames en heren van Groen.

Nog in 2008 lobbyden Amerikaanse oliemaatschappijen bij de Amerikaanse regering om Libië niet financieel aansprakelijk te stellen voor zogenaamde daden uit het verleden. Het Amerikaans Congres besloot in juli van dat jaar om Kadaffi te ontzien, opdat het Amerikaanse zakenleven goede zaken zou kunnen doen.

Verder terug in de tijd, in 1989, ontmoette Kadaffi de Belgische minister van buitenlandse handel Robert Urbain (PS). In 1991 mocht Kadaffi deze socialist als minister in de regering van Jean-Luc Dehaene (Bilderberg) in Libië ontvangen. De socialist had in zijn kielzog een hele resem industriëlen en patroons mee. De Belgische investeerders haalden enorme vastgoedprojecten binnen. Daaronder bevonden de bouw van enorme monumenten in de vorm van twee groene boeken ter ere van het regime. De Belgische politici die niet lang geleden nog de handen van Kadaffi schudden, verklaarden diezelfde Kadaffi de oorlog. Zaken doen boven alles!

Het staat vast dat westerse regeringen geen betrouwbare partner zijn. Jarenlang is men goede maatjes met kolonel Kadaffi. Er groeide een vorm van vertrouwen waardoor de Libische aankoop van (Russische) wapens het etiket 'niet dringend' werd opgekleefd. Sommige ‘vrije’ of ‘ongebonden’ landen (Iran, Syrië, Noord-Korea, China, Wit-Rusland, Rusland, e.a.) denken dat indien ze geen lange afstandsraketten produceren, ze goede maatjes blijven met de internationale bankiers. Libië toont aan dat deze landen zich beter haasten om deze wapens te ontwikkelen. Ooit zullen ze door de NAVO aangevallen worden en zullen krachtige verweerwapens hun nut bewijzen. Het internationale kapitaal, met als uitvalsbasis ‘het Westen’, is totaal onbetrouwbaar.

De ware reden : G3 = M1 (Goud + Geld + Geopolitiek = Macht)

De officiële reden waarom de NAVO een klein land als Libië bombardeert, is het ‘beschermen van de mensenrechten’. Dat de NAVO liegt, wordt aangetoond door het feit dat de regio nog redelijk harde dictators kent, ‘die onschuldige mensen vermoorden’. Israël is er zo eentje. De NAVO brengt geen vrede in die andere landen zoals Israël en Turkije. We kunnen ons de vraag stellen waarom Libië te maken krijgt met een militaire interventie, waarom ‘het Westen’ met fanatieke obsessie het einde van het Kadaffi-regime wil. Waarom valt ‘het Westen’ een onafhankelijke staat aan, de staat met de hoogste levensstandaard van heel Afrika? Het feit dat de NAVO-bombardementen meer doden hebben gekost dan de ‘terreur’ van Kadaffi’s regime spreekt boekdelen.

De ware reden waarom Kadaffi in de weg liep, waren zijn plannen om in Libië en zelfs in heel Afrika de gouddinar in te voeren, een munt verbonden aan een goudstandaard. In 2000 besliste Saddam Hoessein om de Iraakse olie niet meer in de waardeloze ongedekte dollars te verhandelen, maar in euro's. Hij kreeg er een invasie voor en werd na een schijnproces opgehangen.

De Libische staat heeft (had?) 144.000 kilo goud in haar kluizen liggen. Libië had het plan om de olie enkel nog in goud of in gouddinars te verhandelen. Het kleine Libië had aan de basis kunnen liggen van een domino-effect waardoor ook andere landen hun olie in goud of gouddinars zouden verhandelen. Als de olie wereldwijd niet meer in dollars werd verhandeld, dan zou de dollar zijn waarde grotendeels verliezen.

Kadaffi gebruikte zijn oliewelvaart om zich op het Afrikaanse continent te doen gelden. Hij wilde de afhankelijkheid van de westerse instellingen verminderen. Onder zijn bewind was Tripoli bezig met het oprichten van een Afrikaans Monetair Fonds met zetel in Kameroen. Hij streefde naar een nieuwe Afrikaanse munt die de rol van de dollar moest doen verminderen. Zijn plannen maakte hem redelijk geliefd bij andere Afrikaanse leiders en gehaat in de VS. Hiermee tekende hij zijn doodvonnis.

Olie is niet de hoofdreden voor de bombardementen geweest. Er waren al een aantal westerse firma's actief en dit sinds de normalisaties van de diplomatieke relaties met Libië. Ze wilden gewoon andere contracten. Daarom erkende Frankrijk op 10 maart al de Nationale Overgangsraad. De Top van Londen op 30 maart bracht de westerse multinationals de mogelijk sommige stukken van de contracten te veranderen. Onder Kadaffi kregen ze een symbolisch exploitatierecht. Nu zullen de winsten enorm zijn. Er is dus sprake van een neokoloniale kapitalistische oorlog.

Na het afschaffen van de sancties tegen Libië in 2003 en de normalisering van de relaties in 2005-2006 heeft Libië drie internationale aanbestedingen gedaan voor het onderzoeken en ontginnen van de olie daar. Het gaat om de belangrijkste olievoorraden van Afrika.

Toen trokken westerse bedrijven naar het land van olie en geld. Eens aangekomen werden ze zwaar teleurgesteld. Onder de noemer van een systeem dat bekend staat als EPSA-4 werden aan buitenlandse maatschappijen vergunningen verleend die het Libische staatsbedrijf National Oil Corporation of Libya (NOC) het hoogste percentage van de opbrengst opleverden. Kadaffi speelde de westerse concurrenten tegen elkaar uit. Het bedrijf dat zich tevredenstelde met de laagste winstmarge haalde het. Kadaffi vond daardoor oliemaatschappijen die akkoord gingen om 90%(!) van de opbrengst aan de NOC te geven. Wereldwijd was Libië het land waar oliemaatschappijen het moeilijkst winst konden maken door het keiharde EPSO-4-contract. Kadaffi stelde duidelijk: ‘Het is onze olie. De winsten moeten naar mijn volk gaan.’ Het Libische volk voer er wel bij (een goed voorbeeld voor de Amerikaanse en Russische olie- en grondstoffenpolitiek!).

Op de top van Londen op 29 maart 2011 besloot de Overgangsraad op bevel van het Londense ‘City’ de markt te liberaliseren, dat wil zeggen: de Westerse oliemaatschappijen veel meer winsten te bezorgen. Daarom heeft de Nationale Overgangsraad de Libyan Oil Company (LOC) opgericht. Ten koste van de Libiërs. Men kan stellen dat er over de Libische olie de laatste tijd meer is beslist in Washington, Londen en Parijs dan in Benghazi. Eigenlijk zou men beter spreken van de ‘Nationale Overgangsraad voor de Libyan Oil Company’. Het doel van de City ligt in het op termijn vervangen van de Overgangsraad wanneer de internationale bankiers de totale controle over de olievelden hebben.

Amerikaanse, Britse en Franse bedrijven zullen er wel bij varen. Het Italiaanse ENI en het Duitse Wintershall zullen het moeilijker krijgen. Beide deden al met Kadaffi zaken en betalen nu de prijs voor het feit dat ze aan de kant van de verliezer staan.

Russische en Chinese bedrijven mogen het helemaal vergeten. Kadaffi beloofde die laatste begin 2011 meer toegang tot de Libische markt. Die toegang zou ontnomen worden aan de verdreven Amerikaanse en Europese kapitalisten.

Onder druk van het IMF zullen Libische staatsbedrijven geprivatiseerd worden. In ruil krijgt het nieuwe bewind ‘hulp’ voor de heropbouw van de infrastructuur die de rebellen en de NAVO zelf hebben stukgeschoten.

In Benghazi werd door de Britse bankreus HSBC de Libyan Central Bank opgericht. Libië heeft meer dan 150 miljard dollar in het buitenland geplaatst, welke door de VS en de meeste Europese mogendheden werden bevroren. De HSBC zal de Libische Centrale Bank beheren. Leden van deze bank zijn al langer in Benghazi aan het werk. HSBC is heden de belangrijkste 'behoeder' van de buitenlandse Libische tegoeden. Het is duidelijk dat deze Britse bank investeringen zal 'aanraden' die in de plannen van het internationaal kapitaal passen.

Eén van de doelstellingen is het laten zinken van de financiële instellingen van de Afrikaanse Unie: de Afrikaanse investeringsbank (Tripoli, Libië), de Afrikaanse Centrale Bank ((Abuja, Nigeria) en het Afrikaans Monetair Fonds (Yaounde, Kameroen). Al die instellingen zagen het daglicht dankzij Libische investeringen. Die laatste heeft een kapitaal van 40 miljard dollar en is in staat om het IMF in Afrika te verdringen! Tot op heden beheerste het IMF de Afrikaanse economie. Het IMF schonk een vrijgeleide aan de multinationals alsook aan de Amerikaanse en Europese investeringsbanken. Met de aanvallen op Libië worden alle initiatieven om Afrika financieel onafhankelijk te maken gekelderd.

De Roof van de Eeuw: de confiscatie van Libische staatsfondsen

De inzet van de oorlog in Libië gaat niet enkel om de oliereserves (geschat op 60 biljoen vaten), wat Libië tot grootste Afrikaanse olieproducent maakt, met een winningskost die bij de laagste van de wereld ligt. Het gaat evenmin over het gas dat Libië bezit, dat geschat wordt op een 1,500 biljoen kubieke meter. Operatie ‘Verenigde Beschermer’ (Unified Protector) richt zich op de Libische staatsfondsen, kapitaal dat de Libische staat in het buitenland heeft geïnvesteerd (erop vertrouwend dat hij dat zou terugkrijgen natuurlijk).

De Libische Investeringsautoriteit (LIA) beheert staatsfondsen die op een 70 biljoen dollar geschat worden. Als je er de buitenlandse beleggingen bij telt van de centrale bank, kan het oplopen tot 150 miljard dollar. Maar het kan zelfs meer zijn. Ook al liggen ze lager dan die van Saudi-Arabië of Koeweit, Libische staatsfondsen worden gekenmerkt door snelle groei. Toen de LIA opgezet werd in 2006, had ze 40 miljard dollar ter beschikking. In exact vijf jaar tijd had LIA in honderd bedrijven geïnvesteerd in Afrika, Azië, Europa, de VS en Latijns-Amerika (banken, onroerend goed, industrieën, oliemaatschappijen enz.).

Libië investeerde in Italië hoofdzakelijk in de UniCredit Bank (waarvan LIA en de Libische Centrale Bank 7,5% aandelen bezit) Finmeccania (2%) en Eni (1%). Deze en andere investeringen (waaronder 7,5% in de voetbalclub Juventus) hebben zowel op economisch vlak (alles samen goed voor een 5,4 miljard dollar) als op politiek vlak een betekenisvolle rol.

Libië zocht, nadat het door Washington geschrapt werd van de zwarte lijst van ‘schurkenstaten’, naar ademruimte en ging zich richten op ‘diplomatieke staatsfondsen’. Wanneer de VS en de EU het embargo ophieven in 2004 – en de oliemaatschappijen terugkeerden naar Libië – had Tripoli een handelsoverschot van ongeveer 30 miljard dollar per jaar, dat grotendeels gebruikt werd om buitenlandse investeringen te handhaven.

Het beheer van de staatsfondsen werkte een bepaalde corruptie in de hand bij ministers en hooggeplaatste ambtenaren, die waarschijnlijk ontsnapten aan de controle van Kadaffi zelf. Dit werd duidelijk toen Kadaffi in 2009 voorstelde om de 30 miljoen olieopbrengsten te verdelen onder het Libische volk; sommige Libische ambtenaren werden er ongemakkelijk van.

De haviken in de VS en Europa gingen zich toespitsen op die fondsen. Daartoe zou Libië militair worden aangevallen om zo de klauwen te leggen op de grondstoffen en de Libische staatsfondsen. Diegene die de operatie leidde, was de vertegenwoordiger van de LIA, Mohamed Layas zelf, zo blijkt uit documenten die door Wikileaks gepubliceerd zijn. Op 20 januari lichtte Layas de Amerikaanse ambassadeur in over het feit dat de LIA 32 miljard dollar gestort had op rekeningen van Amerikaanse banken. Vijf weken later, op 28 februari, had het Amerikaanse ministerie van Financiën die rekeningen bevroren. Volgens officiële verklaringen was dit de grootste som die door de VS ooit bevroren werd. Uiteraard houdt Washington het gestolen geld in vertrouwen bij. Dat geld zal dienen om als kapitaal richting Amerikaanse economie versluist te worden. Een paar dagen later ‘bevroor’ ook de EU ongeveer 45 miljard euro aan Libische fondsen.

De diefstal van de Libische staatsfondsen zal een sterke invloed hebben op heel Afrika. De Libyan Arab African Investment Company heeft in meer dan 25 landen geïnvesteerd, waarvan er 22 gelegen zijn in sub-Sahara-Afrika. Libische investeringen zijn ook van cruciaal belang geweest om de eerste Afrikaanse telecommunicatiesatelliet Rascom (Regional African Satellite Communications Organization) te lanceren, wat de Afrikaanse landen toeliet om minder afhankelijk te worden van de Europese en Amerikaanse satellietnetwerken. Van het grootste belang echter waren de Libische investeringen in het opstarten van drie financiële instituten: de Afrikaanse Unie, de Afrikaanse Investeringsbank (gelegen in Tripoli), het Afrikaanse Monetaire Fonds (in Yaoundé, Kameroen) en de Afrikaanse Centrale Bank (in Abuja, Nigeria). Dir instellingen zouden ervoor zorgen dat het IMF en de Wereldbank in Afrika veel macht zouden verliezen. En het zou het einde betekenen van de CFA-frank, de munteenheid die 12 voormalige Franse (alsook enkele Spaanse en Portugese) koloniën gedwongen gebruiken. De munt is immers gekoppeld aan de euro. De diefstal van de Libische fondsen maakt een einde aan de Afrikaanse monetaire onafhankelijkheid. Op 20 oktober meldden de kranten ten slotte dat ‘het IMF een delegatie naar Libië zal zenden’.

Van de 150 miljard door Amerikanen en Europeanen gestolen Libische dollars (ja, 150 miljard dollar!) werd begin september beslist dat de Libische Overgangsraad er ... 15 miljard dollar van terugkrijgt! Hillary Clinton maande de Overgangsraad aan met het Westen te blijven samenwerken.

Nog een reden: gehaat door Israël

De relatie tussen de joodse gemeenschap en de Libiërs verliep dikwijls slecht. Ten tijde van Ptolemeus I viel het voor de joden nog mee. Men kan stellen dat in de Griekse, Romeinse en christelijke tijd de joden in Libië niet te klagen hadden. Met de komst van de islam veranderde dit. Hun aantal nam sterk toe doordat joodse vluchtelingen uit Spanje en Italië zich in Libië vestigden. Nochtans wisten ze op voorhand dat de islamitische machthebbers het leven voor de joden niet altijd aangenaam maakten. Uiteraard hing veel af van wie aan de macht was.

De Italiaanse overheersing (1911) bracht de joden gelijke rechten.

In 1945, na het vertrek van de Duitsers en de nieuwe bezetting door de Britten, werden de Libische joden tijdens pogroms opgejaagd. De vraag is: waarom? De Britten beschermden de joden tegen de woede van moslims. Libisch eerste minister Mahmud Muntasser zei in 1951 al dat ‘er in Libië geen toekomst is voor de joden’. Tussen 1949 en 1951 trokken 30 000 joden uit Libië weg richting nieuwe kolonistenstaat Israël.

 

Onder invloed van het opkomende Arabische nationalisme in Egypte, verloren de 8 000 Libische joden stilaan hun rechten. Men moet rekening houden met het feit dat sinds de stichting van kolonistenstaat Israël zowat de hele Arabische wereld continu in oorlog was met deze Amerikaanse vazalstaat. Hoewel, men kan zich de vraag stellen wie vazal is van wie. De Libiërs vertrouwden de joden niet, net zoals de Amerikanen na 1941 (Pearl Harbor) de in de VS verblijvende Japanners niet vertrouwden. De VS deporteerden de Japanners naar concentratiekampen. Joden die Libië verlieten, verloren al hun bezittingen.

De Zesdaagse Oorlog (1967) veroorzaakte in Libië een aantal pogroms die leidden naar de remigratie van de overblijvende joden. Tot dan toe was er van Kadaffi nog geen sprake!

Toen Kadaffi aan de macht kwam, kon men hem niet van sympathie voor Israël beschuldigen. Hij beschouwde zich als een volgeling van Nassers Arabisch nationalisme, net zoals Saddam Hoessein en Hafez al-Assad. Kadaffi beschouwde net als elke pan-Arabist de historische nederlagen van 1948 en 1967 als grote vernederingen. Kadaffi ving tienduizenden Palestijnse vluchtelingen op en gaf hen een waardig bestaan.

Wat Kadaffi in Israël niet populairder maakte, was zijn toespraak voor de Verenigde Naties in 2009 waar hij het had over Israëls atoomwapens. Hij zei: ‘De hele wereld zou moeten weten dat Kennedy de atoomreactor van de Israëlische demon wilde onderzoeken.’ De zionistische moordeenheid Kidon, een elite-eenheid van de Mossad, heeft in samenwerking met de CIA en het Meyer Lansky misdaadsyndicaat president John Kennedy vermoord. Kennedy voerde een stille oorlog met de Naqba-architect David Ben Goerion over de nucleaire plannen van Israël. Israël vindt het verschrikkelijk als iemand gewag maakt over die nucleaire plannen, zeker als dit gebeurt door prominente leiders zoals Kadaffi.

In Israël had hij het helemaal verkorven toen hij een schip, Al-Amal ('De Hoop' in het Arabisch), naar Gaza zond met 2 000 ton hulpgoederen zoals voedsel, medicijnen, materiaal om huizen te bouwen enz.

Om de Israëlische emmer helemaal te doen overlopen riep Kadaffi de Palestijnen tijdens de opstanden in Tunesië en Egypte op om in opstand te komen tegen de Israëlische bezetter.

Ten slotte moet vermeld worden dat Kadaffi aan een geopolitiek Arabisch project werkte met als doel tegengewicht te vormen tegen Israël.

Heden is het niet zeker of de nieuwe machthebbers de Israëlische staat beter genegen zullen zijn dan Kadaffi. Niets wijst daarop. Libisch-joodse zakenmensen peilden naar de intenties hieromtrent bij de rebellen. Alles wijst op een situatie zoals in Egypte: de islamisten komen aan de macht en die moeten van Israël al helemaal niet hebben. De Arabische Lente zou wel eens kunnen veranderen in een Israëlische Winter. Israël zou wel eens heimwee naar Kadaffi kunnen krijgen.

Libië: solidaristisch en nationalistisch

Een paar feiten over de Libische sociaaleconomische situatie.

  • Hoogste bruto nationaal product (BNP) van Afrika;
  • In 2010 steeg het BNP met 10,6%;
  • Werkloosheidssteun: 730 dollar;
  • Elk familielid ontvangt jaarlijks 1,000 dollar steun;
  • Loon van een verpleegster: 1 000 dollar;
  • Geboortepremie voor elke nieuwgeborene: 7 000 dollar;
  • Bruid en bruidegom krijgen 64 000 dollar om een woning te kopen;
  • Belangrijke belastingen en heffingen verboden;
  • Bij het stichten van een persoonlijke zaak, krijgt de zaakvoerder een eenmalige steun van 20 000 dollar;
  • Gratis onderwijs en geneeskunde gratis;
  • Onderwijsstages in het buitenland worden totaal door de overheid betaald;
  • Winkels voor grote gezinnen met symbolische prijzen (zeer laag) voor basisproducten;
  • Een gedeelte van de apotheken kent gratis verstrekking van geneesmiddelen;
  • Leningen voor aankoop van woning of auto zijn totaal renteloos;
  • Vastgoeddiensten zijn er verboden (goedkopere huizen);
  • Aankoop van een auto: tot 50% betaald door de staat;
  • Gratis elektriciteit voor het volk;
  • Verkoop en gebruik van alcohol verboden;
  • Olie is goedkoper dan water: één liter kost 0,14 dollar.

Het is duidelijk dat Libië een Solidaristisch economisch systeem heeft. Het internationaal kapitalisme wil daaraan absoluut een einde maken. Andere volkeren zouden het in hun hoofd kunnen halen ook zo'n systeem te eisen.

Het Groene Boekje

In 1976 schreef kolonel Kadaffi het Groene Boekje. Dit boekje moet men uiteraard bekijken vanuit de persoon van Kadaffi zelf. Hij was een aanhanger van Nasser, de vader van het panarabisme. Die stroming is solidaristisch en nationalistisch van inslag. Net zoals de Vlaamse Beweging in den beginnen zeer katholiek was, is het Arabisch nationalisme islamitisch. In zijn sociaaleconomische en nationale visie (behoud van eigen waarden en tradities kunnen Europese nationalisten verschillende raakpunten vinden) Kadaffi volgde net als Nasser de Derde Weg.

In 1963 werd hij tijdens zijn opleiding aan de militaire academie van Benghazi lid van de door Nasser geïnspireerde 'Vrije Officieren voor Eenheid en Socialisme'. Het waren zij die in 1969 een staatsgreep pleegden en koning Idris I aan de kant duwden. Onmiddellijk nadien werden de Amerikaanse legerbasissen gesloten en British Petroleum in Libië genationaliseerd.

De Jamahiriya, zoals Kadaffi de nieuwe Libische republiek noemde, was een geleide staat: de overheid lette erop dat bepaalde machtsgroepen het volk niet konden uitbuiten.

Poetin en Libië

In april 2011 zei Russisch premier Vladimir Poetin, op bezoek in Kopenhagen, dat Kadaffi waarschijnlijk niet de beste mens ter wereld is, maar dat de NAVO niet het recht heeft hem zonder vorm van proces te executeren. Poetin stelde terecht dat 'het Westen' uit is op de Libische olie en er een regime aan de macht wil brengen dat zonder vragen te stellen alles doet wat dat 'Westen' wil. Poetin stelde terecht de vraag: ‘Wie gaf de NAVO het recht om Kadaffi te doden?’

Men kan het terecht jammer vinden dat Rusland tegen de NAVO-terreur enkel verbaal heeft gereageerd. Verbaal protest schrikt geen enkele grootmacht af. Indien de Russen in Libië een aantal troepen hadden gestationeerd, dan zou het land nooit door de NAVO zijn aangevallen. Uiteraard riskeert men dan een enorme botsing tussen Rusland en de NAVO. Men kan er echter van uitgaan dat de NAVO een volgende wereldoorlog wil vermijden. De zwakte van het NAVO-leger is gekend. Tegen kleine landjes valt het mee, hoewel de NAVO tegen Libië deze zomer al op haar tandvlees zat. De Italianen hadden zich al terug getrokken. De NAVO zou een oorlog tegen Rusland geen drie maanden vol houden. Het is jammer dat Rusland de laatste jaren geen enkele van haar bondgenoten militair heeft gesteund, hoewel de Russische legertop daarvoor vragende partij is. Het Russische volk staat eveneens in meerderheid achter mogelijke Russische militaire interventies om de NAVO uit de buurt van een bondgenoot te houden. Waarom volgt de Russische politiek niet? Gelooft ze niet in eigen kunnen of is er meer aan de hand?

Wit-Rusland stuurde 500 militaire adviseurs naar Libië om Kadaffi bij te staan in zijn strijd tegen de NAVO-agressie. Er bestaat al langer een band tussen Wit-Rusland en Libië. Deze dateert vanuit de Sovjetperiode. Toen kolonel Kadaffi in 1969 de macht overnam, lagen er Sovjetschepen voor de Libische kust. Nu liggen er geen Russische schepen meer in de buurt. Enkel NAVO-tuig. De meeste Europese landen verbieden het zenden van huurlingen. De Telegraaf meldde dat er in Libië toch een pak Europese huurlingen aanwezig zijn. Daaronder zouden zich Belgen, Polen, Britten, Fransen, Grieken, Russen, Wit-Russen, Serviërs en Oekraïners bevinden. Het zouden allen specialisten in zware wapens zijn. Hoe De Telegraaf aan die informatie kwam, is een raadsel. Maar het is wel zo dat een goede bondgenoot van Europa die hulp verdient.

NAVO steunt rebellen

Vanaf de eerste dag van de Libische burgeroorlog beschikten de opstandelingen niet enkel over morele NAVO-steun, maar ook over NAVO-wapens. Er doken foto's op van opstandelingen met Waalse wapens, waaronder de FN 2000. De Libische overheid kocht er in juni 2009 zo'n 367 stuks. FN incasseerde hiermee een bedrag van 11,5 miljoen euro. Zeer leuk voor de Waalse vredesactivisten die Vlaanderen te rechts vinden. Ecolo keurt zowat elke wapenlevering door FN goed.

De eerste aanval werd geopend door Franse gevechtsvliegtuigen. Sarkozy wilde hoe dan ook ten strijde trekken, omdat hij electoraal de hete adem voelt van Marine Le Pen (Front National). Sarkozy heeft een hoog Napoleongehalte, alleen was zijn illustere voorganger een pak intelligenter. Hij hoopt nu met Libië op zijn ‘Falkland-moment’ (in 1983 won ijzeren tang Margaret Thatcher de verkiezingen, omdat zij de Falkland-oorlog tegen Argentinië begon). De tussenkomst van de NAVO in Libië was al veel langer gepland. AWACS (spionagevliegtuigen) hielden Libië al langer in de gaten. De identificatie van de doelwitten op de grond was dus al voor het begin van de NAVO-vijandelijkheden aan de gang.

De NAVO verspreidt graag gegevens over haat meer dan 8 000 bombardementsvluchten, het aantal doelen dat geraakt werd enzovoort. Over het door haar gemaakt aantal burgerslachtoffers zwijgt ze in alle talen. De Overgangsraad spreekt van 30 000 doden, maar niemand zegt te weten wie er wie vermoord heeft. Het Libische Gezondheidsbureau sprak in juli al van 1108 doden door NAVO bombardementen. De cijfers nagaan is onbegonnen werk, maar er zijn heel wat getuigenverklaringen die bevestigen dat de NAVO heel wat burgers heeft gedood. Vooral ziekenhuizen moesten eraan geloven. Onder het mom van ‘R2P’ (bescherming) doodde de NAVO honderden burgers. Pervers heet dat dan.

Ter plaatse maken VS-(s)pionnen de dienst uit. In maart blokletterde de New York Times: ‘Kleine groepen van CIA-agenten worden in Libië ingezet om contact te maken met de rebellen en de aanvallen van de Coalitie te leiden. Het televisiestation ABC bevestigde dat president Obama toestemming heeft verleend om de rebellen in het geheim te helpen. ABC vertelde er ook bij ‘dat tientallen Britse Special Forces en leden van geheime diensten, de MI6, aan het werk zijn’.

Khalifa Hifter, een oud-kolonel van het Libische leger, kreeg in de Daily Mail (een krant van Angelsaksische haviken) een leuk interview. Hij werd er omschreven als ‘één van de twee schitterende militaire sterren van de revolutie’. De krant schrijft onomwonden dat de man is gezonden om samenhang onder de rebellentroepen te brengen. Over zijn banden met de CIA leest men geen woord. Hij woonde 20 jaar lang in Vienna (Virginia) op amper 10 kilometer van het hoofdkwartier van de CIA: Langley. Men woont voor het gemak inderdaad best niet te ver van zijn werk. Hij emigreerde begin jaren '90 naar de VS nadat hij zich plots tot de Libische oppositie bekeerd had. Dit was enkele jaren na de aanslag op Lockerbie. Voor Libiërs was het toen onmogelijk de VS binnen te komen.

Over de legaliteit van de NAVO-bombardementen valt ook iets te zeggen. In het VN-mandaat wordt met geen woord gerept over een regimewissel. De NAVO bombardeerde na de val van Tripoli nog steeds stellingen in Sirte, toen deze regio in handen was van aanhangers van Kadaffi. De VN-resolutie verbiedt ook uitdrukkelijk de inzet van grondtroepen. Toch werden er Amerikaanse Special Forces en CIA -ploegen ingezet, naast speciale eenheden van Groot-Brittannië, Frankrijk, Qatar en de Verenigde Arabische Emiraten om de rebellen bij te staan met raad, wapens, coördinatie en nog veel meer. En hoewel de VN-resolutie opent met de vraag om een onmiddellijk staakt-het-vuren, hebben de NAVO en de rebellen een oproep van de Afrikaanse Unie tot een algemeen staakt-het-vuren brutaal afgewezen. De Zuid-Afrikaanse president Zuma voegde daar nog aan toe dat de NAVO-bombardementen de Libische initiatieven voor de Afrikaanse Unie ondermijnen.

Meer dan 200 belangrijke Afrikanen publiceerden op 24 augustus ook een brief waarin ze de misbruiken van de Veiligheidsraad om tot regimewissel te komen veroordeelden. Ze protesteerden in die brief ook over de marginalisering van de Afrikaanse Unie. Rusland, China, India en Brazilië (de BRIC-landen), die allen in de Veiligheidsraad zetelen, beschuldigen de NAVO ervan regelmatig VN-mandaten te schenden. Om de oorlog compleet te maken, hielp de NAVO de rebellen om zowel medestanders van Kadaffi als onschuldigen te vermoorden.

Wie zijn de rebellen?

De NAVO heeft in Libië duidelijk een paar ongure vrienden. De Nationale Overgangsraad (de National Transitional Council of NTC ) beschouwt zich op bevel van de NAVO en aldus de internationale bankiers als enige vertegenwoordiger van Libië. Deze bestaat uit vier belangrijke fracties.

De Royalisten: Zij zijn aanhangers van de verdreven koning Idris Senoussi I. Hun zetel bevindt zich in Riyad, Saoedi-Arabië. Zijn macht was gebaseerd op enkele clans in het oosten van Libië. Toevallig de plaats waar er olie te vinden is. Idris I werd in 1969 van de macht verdreven door Kadaffi. Een Frans deskundigenrapport over Libië verklaart zelfs dat deze groep geen last heeft van enige democratische reflex. Ze willen gewoon de macht van het koningshuis herstellen.

De overlopers: Zij maakten tot voor kort deel uit van de Libische regering of het militaire apparaat. Op basis van hun ervaring spelen ze vandaag een belangrijke rol in de leiding van de Overgangsraad. Het gaat onder anderen om de voormalige minister van Justitie Mustapha Abdujalil Al-Bayda (voorzitter van de Overgangsraad), de gewezen ambassadeur in India Ali Al-Isawi (verantwoordelijke voor de buitenlandse relaties van de Overgangsraad) en Omar al-Hariri (verantwoordelijke voor militaire zaken van de Overgangsraad). Die laatste pleegde samen met Kadaffi de staatsgreep in 1969, maar ondernam al in 1975 een mislukte coup om Kadaffi af te zetten.

De maffiosi: Het oosten van Libië was sinds lang een soort vrijhaven waar de overheid weinig controle uitoefende. De laatste vijftien jaar organiseerde de lokale maffia er de mensensmokkel van Afrika naar Europa. Met het akkoord dat Libië en Italië vorig jaar sloten over de vluchtelingen en de arrestatie van verschillende maffiabazen was deze handel stilgevallen. Nu hebben de maffiosi opnieuw vrij spel.

De moslimfundamentalisten: Tot slot zijn er de radicale islamisten. Sinds de jaren 90 zijn ze actief als de Libyan Islamic Fighting Group (LIFG). Sinds 2007 maken ze deel uit van Al Qaeda. Het oosten van Libië staat bij de VS geboekstaafd als de hofleverancier van de jihadisten die in Irak tegen de VS-bezetters gingen vechten. In Libië vechten ze met de VS.

Men kan zelf voorspellen dat deze bende ongeregeld, eens aan de macht, elkaar afmaakt en talloze onschuldige burgers bij hun terreur niet zullen ontzien.

België unaniem in oorlog. Unaniem?

Het trio Leterme, Vanackere en De Crem vertelde in het parlement dat ‘de oorlog in Libië lang kan duren en slachtoffers maken’. Het hele parlement applaudisseert... De Crem (Defensie) zei dat we de voorwaarden moeten scheppen voor een post-Kadaffi-tijdperk. Aanwezig zijn, noemt men dat. Of de reden nu menselijk is of niet doet er niet toe. De Crem stelde: ‘We moeten nadien ook aanwezig blijven, opdat al het werk niet nutteloos is geweest’. Hiermee toonde de Belgische voorlopige minister aan dat de reden helemaal niet humanitair is. Vanackere bewees dat hij ook goed kan liegen: ‘De actie wordt gedragen door de Internationale Gemeenschap.’ Tel maar eens het aantal inwoners van 4 van de 5 landen van de VN-Veiligheidsraad die niet akkoord gingen. Rusland, China, India en Brazilië tellen samen 2,9 miljard inwoners. De tien landen die voor de oorlog stemden, tellen 700 miljoen inwoners. De cijfers bevatten de bevolkingsaantallen niet van alle Afrikaanse, Aziatische en Latijn-Amerikaanse landen die tegen de oorlog zijn. Diezelfde Vanackere hielp in mei 2010 Kadaffi aan een zitje in de VN-Mensenrechtenraad. Karel De Gucht stemde in 2008 even solidair voor een Libisch zitje in de VN-Veiligheidsraad.

De houding van de Belgische politici kan aldus als hoogst merkwaardig worden omschreven. Dat liberalen/kapitalisten oorlog wenselijk achten, valt niet te verbazen. Het is een internationaal en historisch gegeven dat oorlog de motor vormt van de kapitalistische economie. Maar dat de Belgische politieke 'linkse internationalisten' (officieel voor “peace and love”) alsook de in het parlement gekozen 'Vlaams-nationalisten' ('Nooit meer oorlog') VOOR de oorlog zouden kiezen, is hoogst merkwaardig. Dat VLD en MR voor de oorlog zouden stemmen, lag in de lijn der verwachtingen. Maar ook de Spa, PS, Groen en Ecolo (ja, ja !!!) stemden voor. En, totaal in strijd met het nalatenschap met de Vlaamse Frontsoldaten, stemden Vlaams Belang en N-VA ook voor het aanvallen van Libië.

- Theo Vrancken riep zelf luid en fier : “We go for War !!!”. N-VA en Vlaams Belang hebben de gruwelen van de Yzervlakte en de daaropvolgende vredeswens verraden.

  • - Wouter De Vriendt (Groen) stelde “dat we niet mogen aarzelen want de militaire optie is de enige overblijvende”.
  • - Juliette Boulet (Ecolo) bedankte de regering voor haar snelle reactie en benadrukte dat “haar partij al 10 dagen vragende partij is voor luchtinterventie”. Een kopstuk van Ecolo vond het in Terzake zeer goed dat Kadaffi vermoord werd.
  • - Open VLD en Vlaams Belang zeiden dat ze “geen enkel bezwaar hebben tegen interventie (oorlog)”.

Belgïe kent geen groepsgevoel. Dit is begrijpelijk want het is een kunstmatige staat, gecreëerd met geld van de Rothschild familie, en waar een Belgische kaste, die meestal Frans spreekt, op grote schaal Vlaanderen en Wallonië heeft verarmd. Gezien “de Belgen” zich al jaren niet meer kunnen kwalificeren voor een internationaal voetbaltoernooi, komt een buitenlandse vijand goed van pas. De Kamer begreep dit. Ze stemden alle 150 unaniem voor de oorlog.

België zit de langste periode uit haar geschiedenis zonder regering en wilde ten koste van alles bewijzen dat het nog bestaat. De unanimiteit waarmee de drang naar oorlog en 'Odyssey Dawn' werd goedgekeurd, toont aan dat in heel het parlement niet één persoon aanwezig is die een correcte analyse kan maken van de geopolitieke situatie in het Middellands Zeegebied en welk belang het solidaristische Libië voor ons heeft, ondanks de fratsen van de voormalige leider.

We stellen vast dat de Vlaams-liberale populisten van het Vlaams Belang hun slechtste kant hebben laten zien door zonder nadenken voor de Amerikaanse, Israëlische en Atlantistische As te kiezen, net zoals alle andere pluchen poppen en marionetten in het parlement. Hiermee gingen ze diametraal in tegen de positie van hun Europese partner in het Europees Parlement, de Lega Nord. Zelfs de FPÖ en een paar kleine Duitse partijtjes en bewegingen, gelinkt aan het VB, wilden niet zover gaan.

De verbindingsman van Bernard-Henry Lévy, raadgever van Sarkozy op gebied van Libische zaken, is ... Guy Verhofstadt. Deze Verhofstadt ontving Kadaffi in 2004 met alle eer die men een groot staatshoofd kan geven. Washington besloot toen dat Kadaffi 'niet meer stout was'. Eigenlijk is het straffe zaak te vernemen dat het Vlaams Belang blindelings Verhofstadt in zijn drang naar oorlog volgt. Hetzelfde geldt voor de N-VA, de socialisten en de groenen. Maar deze laatste zijn belgicistisch waardoor hun houding in de lijn der slechte verwachtingen ligt. VB en N-VA konden de staat die ze bekampen legaal een hak zetten en weigeren om mee te doen aan de slachting op duizenden onschuldige burgers.

Het goedkeuren van de oorlog is zelfs illegaal omdat België op het ogenblik van de feiten een voorlopige regering heeft. Een voorlopige regering heeft niet de bevoegdheid om oorlog te verklaren. Zeker niet nu omdat België niet zelf werd aangevallen. De Vlaams-nationalisten hebben een historische kans gemist om zich van Belgische zaken te distantiëren.

Wat kost de oorlog? Wie wint en wie verliest?

Wat de oorlog tegen Libië zal gekost hebben, zal nooit door de massa precies geweten worden. Laten we een gokje wagen aan de hand van gekende cijfers.

De Britse schatkist zou officieel tot 260 miljoen £ kwijt zijn maar experten berekenden dat dit oploopt tot 1 miljard £. Eén missie van één gevechtsvliegtuig kost tot 45,000 £.

Frankrijk zou rond de 320 miljoen € armer zijn geworden.

Belgisch minister van Defensie zegt dat de kostprijs voor het artificiële landje 12,3 miljoen € bedraagt, voor de eerste drie maanden. Na 5 maanden was het al 35 miljoen euro. Na 7 maand spreekt men over 10 miljoen euro. Groen berekende dat de kostprijs na drie maand rond de 31,7 miljoen € ligt. Groen is de partij die vrede predikt en in het parlement voor oorlog stemt.

Belangrijk element is te beseffen dat oorlog voeren steeds de basis vormt van de economie en dit al van voor het Romeinse Rijk. Oorlog maakt voor 1/3de deel uit van de Amerikaanse economie. Voormalig Amerikaans president Dwight Eisenhower waarschuwde in zijn tijd al voor het militair-industrieel complex.

De andere kant van de medaille hoort men in de woorden van de Franse minister van Handel, Pierre Lellouch : “Frankrijk beschikt over een kapitaal aan sympathie dat hoog gewaardeerd wordt bij de nieuwe Libische autoriteiten. Het is normaal dat Franse bedrijven daar voordeel uit zouden halen”. Volgens de Franse werkgeversorganisatie Medef zou de markt voor heropbouw in Libië 200 miljard dollar waard zijn.

Verschillende oliebedrijven uit NAVO-landen hebben zwaar in Libië geïnvesteerd. Daaronder bevinden zich ENI (Italië), Total (Frankrijk) Conoco-Philips (VS) en BP (Groot-Brittanië). Deze bedrijven staan nu in polepositie om de Libische olievelden uit te baten. De Overgangsraad liet via de woordvoerder van het oliebdrijf van de rebellen Agoco, Abdeljalil Mayuf, aan Reuters weten “dat ze bij de verdeling van de contracten vriend en vijand zullen herinneren”. Ze maakten duidelijk dat Rusland, China en Brazilië op niet te veel kruimels hoeven te rekenen. De wederzijdse handel met China bedroeg een kleine 5 miljard €.

Rusland loopt nu zo'n 2,9 miljard € mis doordat het het Westen eenzijdig een wapenembargo tegen Libië afkondigde. Voor de val was de Sovjet-Unie de grootste wapenleverancier van Libië. Ten tijde van Kadaffi was Libië steeds de grootste afnemer van Russische wapens in de regio. In januari 2010 tekende Kadaffi in Moskou een wapencontract waarin staat dat Libië zowaar één van de eerste kopers zou worden van het splinternieuwe Sukhoi SU-35 gevechtsvliegtuig. Er lag een order klaar voor 15 toestellen ter waarde van 800 miljoen $. Dit was maar een begin. Kadaffi bood Rusland in 2008 al aan om in zijn land een marinebasis te openen met als doel de VS af te houden van agressie.

De Russische energiereus Gazprom zal het moeilijk krijgen om haar belangen in Libië op dezelfde wijze te behartigen als ervoor.

Het Libische oliebeleid kenmerkte zich onder Kadaffi doordat voornamelijk kleine onafhankelijke oliebedrijven concessies kregen.

Alle landen en regimes die de Overgangsraad aan de macht hielpen, zullen daarvoor ruim beloond worden. De winsten zullen rijkelijk in de zakken van het kapitaal verzeild geraken. De kosten voor de militaire acties zullen door het volk gedragen worden. Deze oorlog transfereert geld van het volk naar de (inter)nationale elites.

Deze oorlog was ook een gelegaliseerde wapenshow en pleidooi voor meer militaire investeringen. Tot het begin van dit jaar was de Franse Rafale het gevechtsvliegtuig dat niemand wou. De firma geraakte deze grote mug zelfs niet aan de straatstenen kwijt. Libië was één grote reclameactie voor Dassault Rafale. De Britse pers opperde recent dat besparingen op de Royal Navy verkeerd zijn. NAVO secretaris-generaal Rasmussen (Bilderberg) eist van de leden dat men meer investeert in militair transport. VS-diplomaten zeggen dat Libië aantoont dat Europa meer moet investeren in Defensie.

De gevolgen van de agressie tegen Libië:

De gesponsorde media verklaart dat de burgeroorlog spoedig ten einde zal komen. Het (zoveelste) gruwelijk monster is 'dood'. “De democratie kan nu intreden in Libië”, zo klinkt het. Gezien Libië een veelstammenstaat is, zal de met veel dollars betaalde 'eenheid' (van de huidige Overgangsraad) spoedig uit elkaar vallen. Het gevolg is een veel hardere burgeroorlog. Kadaffi hield de stammen immers binnen de lijnen door een bewind van zalven en slaan, wat steeds werkt. Georgië, Egypte en Irak zijn maar een paar bloederige voorbeelden van hoe er ook in Libië spoedig zal aan toegaan.

Het feit dat Kadaffi van het toneel verdwijnt, betekent voor “het Westen” een grote opluchting. Kadaffi deed vele gouden zaken met dat 'Westen'. Die man weet veel en weet teveel. Hillary Clintons bijna ongecontroleerd blije reactie was er ééntje van “Oef, die kan niet meer praten”. Mocht Kadaffi zijn memoires hebben geschreven, dan zou menig West-Europees politicus er zeer ongemakkelijk bijlopen en misschien in de gevangenis verzeild geraken.

De gevolgen van de NAVO-agressie tegen Libië zullen het Afrikaanse continent beïnvloeden. Men kan er van uitgaan dat er nog meer NAVO-interventies zullen komen. De val van Moebarak en Ben Ali toonde eerst en vooral de interne verscheurdheid aan. De val van Kadaffi toont veel duidelijker de banden aan tussen interne oppositie en buitenlandse overheden en regimes. Niemand kan ontkennen dat de “change” in Libië onmogelijk zou zijn geweest zonder NAVO-inmenging in interne aangelegenheden.

Afrika is vandaag het strijdtoneel tussen huidige dominante wereldmachten en nieuwe opkomende uitdagers. De Chinese rol is op het continent sterk gegroeid. De aanwezigheid is gericht op twee pijlers : de infrastructuur uitbouwen en grondstoffen voor eigen belang ontginnen. Het “Westen” tracht al een tijdje om de Chinese opmars in Afrika tegen te gaan en delen van verloren gebied opnieuw in te palmen. De Chinese aanwezigheid in Afrika is 'zachter'. China bemoeit zich niet met binnenlandse aangelegenheden. De VS willen daarentegen her en der militaire basissen opzetten, zeker indien er grondstoffen in de buurt zijn. Dit stoort de bevolking en leidt naar een drang naar terrorisme. Kadaffi stelde zelf al het terrorisme twee bronnen kent: het wahabisme (extreme vorm van islam, staatsgodsdienst in Saoedi-Arabië en Qatar) en Zwitserland. Hij zei dat Zwitserse banken het terrorisme ondersteunen en stelde voor het land op te splitsen per taalgroep. Op communautair vlak heeft de man blijkbaar meer verstand dan eenders welke belgicist.

Het “Westen' kiest steeds de militaire weg om de geopolitieke belangen te vrijwaren. De Franse economische topkaste zoekt al veel langer een reden om in Afrika militair in te grijpen. Het begon al in de Ivoorkust. In Libië kregen ze helemaal hun zin. Van nog groter belang is de toename van de macht van Africom (African Command), een Amerikaans militair commandocentrum voor Afrika. Afrikaanse leiders staan voor moelijke keuzes. Ten tijde van de Koude Oorlog was het eenvoudig. Libië koos met zijn solidaristisch economisch model begrijpelijk voor de Sovjet-Unie. Nu kan men echter 'winkelen' tussen de grootmachten. Sommigen kiezen niet voor één maar voor enkelen tegelijk. President Museveni van Oeganda verwelkomde de Chinezen en de Indiërs, maar sloot tegelijk militair-strategische aansluiting bij de VS, in de “War on Terror” op het Afrikaanse continent.

Het is geen geheim dat na de val van Kadaffi de oppositie in de Afrikaanse landen kwijlend uitkijkt naar een Westerse militaire interventie. Zij hopen op Westerse financiële steun.

Het verdwijnen van Muammar el-Kadaffi zal leiden naar regelrechte stammenoorlogen. We kunnen stellen dat Libië zal te maken krijgen met een Irakisatie van het terrein. Het zal vele jaren duren eer de stammen het eens zullen zijn over een nieuwe sterke leider.

Wat gebeurt er met de vele wapens uit de geplunderde wapendepots? Rusland was al het eerste land dat zich zorgen maakt. Libië is vol met semi-autonome gewapende milities. Verschillende groepen erkennen de Nationale Overgangsraad niet.

Gaat de gemiddelde inwoner van Libië armer worden? Onder Kadaffi kende Libië veruit de hoogste ontwikkelingsindex van heel Afrika. Men kan vrezen dat Libië een vrije val zal kennen. Kadaffi bouwde zijn land op met solidaristische sociaal-economische beginselen. De economische infrastructur is totaal stuk geschoten.

Een groot deel van de mensen zijn fundamenteel egoïstisch. Een sterk Solidaristisch regime zoals dat van Kadaffi kan over het geluk en de dwalingen van het volk waken. De nefaste invloed van het kapitalisme kunnen enkel in een Solidaristische samenleving zeer beperkt worden gehouden. Kadaffi slaagde erin. Nu, in het post-Kadaffitijdperk, komt de chaos.

Ten slotte kunnen we ons de vraag stellen: indien Irak, Servië, Afghanistan en Libië werden aangevallen omdat “een dictator zijn volk uitmoord”, wordt het dan geen hoog tijd om Israël plat te leggen, Tel Aviv en Haifa stuk te schieten, Sharon (oei die is al weg ...), Netanyahu, Perez en iedereen die ook maar met het regime heeft meegewerkt, hetzelfde lot te laten ondergaan als kolonel Muammar al-Kadaffi, Saddam Hoessein en Slobodan Milojevic? Kan de VN dan geen mandaat geven om even enthousiast Israël te bombarderen?

Zijn de koosjere bommen van de Israëlische luchtmacht, die vreedzaam op Palestijnse vrouwen en kinderen neer dwarrelen, minder erg dan andere ? Of is het zo dat Palestijns leed minder waard is dan ander leed en Israëlische terreur tegen het Palestijnse volk legaler is dan andere vormen van terreur?

De vraag is nu: wie is de volgende? Guy Verhofstadt verklaarde in Terzake dat er boven Noord-Syrië een no-flyzone moet komen...

 

Kris Roman

N-SA coördinator Buitenlandse Contacten

N-SA coördinator geopolitieke denktank "Euro-Rus"

mercredi, 09 novembre 2011

« La zone euro vient de porter un coup terrible à Wall Street »

« La zone euro vient de porter un coup terrible à Wall Street »

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

Grâce aux mesures prises mercredi [26 octobre 2011], la zone euro peut se replacer en acteur crédible d’une nouvelle donne économique mondiale. Selon Franck Biancheri, du Laboratoire européen d’anticipation politique, les partenariats vont se multiplier avec les pays du BRICS. Une redistribution qui effraie l’Amérique.

Le sommet de la zone euro de mercredi a-t-il accouché d’une Europe plus forte ?

A tous points de vue. L’Union européenne a démontré qu’elle entendait gérer la Grèce sur le long terme, car il est clair qu’un pays qui n’a pas de cadastre digne de ce nom ne peut se mettre à jour en moins de cinq ou dix ans.

Amener les créanciers, les banques qui avaient acheté de la dette grecque, à payer 50% de la note était une prouesse encore impensable il y a huit mois. Depuis un demi-siècle, ce type de créances était payé rubis sur l’ongle. C’est une rupture majeure. C’est un rafraîchissement gigantesque pour l’Europe, et une bonne chose pour la perception qu’elle a d’elle-même.

 

L’augmentation de 440 à 1000 milliards d’euros du Fonds européen de stabilité financière (FESF) serait donc la traduction d’une bonne gouvernance ?

L’Allemagne a eu une vision saine du fonctionnement du Fonds en évitant la vision « sarko-bancaire » qui voulait le lier à la Banque centrale européenne, comme les Etats-Unis l’ont fait en 2008, en donnant mission à la Fed de renflouer leurs banques. Ce piège aurait été dangereux pour la zone euro.

Malgré la décision de recapitaliser les banques, vous prédisez la disparition de 20% d’entre elles pour 2012 ?

C’est ce que j’appelle la décimation annoncée des banques au premier semestre 2012. Il faut l’entendre au sens romain du terme, c’est-à-dire une sur dix, mais je table sur la mort de 10% à 20% des banques occidentales. Elles sont trop nombreuses, et beaucoup plus faibles qu’elles veulent bien l’avouer. Les estimations faites par les experts financiers et les gouvernements sous-estiment l’impact de la crise sur ces établissements.

UBS figure parmi les établissements menacés…

Oui, de même que la Société Générale en France, ou Bank of America, énorme, poussive, qui peut s’effondrer d’un jour à l’autre. La plupart d’entre elles s’empêtrent dans des bilans mitigés, des procès à rallonges, et n’arrivent pas à abandonner des secteurs dangereux tels que la banque d’investissement. Le démantèlement de Dexia illustre bien ce processus, avec la création d’une banque spéciale pour solder les actifs pourris et un morcellement de ses activités.

On a beaucoup parlé du sauvetage de l’euro, comme s’il pouvait disparaître. Fantaisiste?

Evidemment. L’euro ne peut pas disparaître, ni demain ni dans quelques années. Même si la Grèce avait dû revenir à la drachme, cela aurait pris deux à trois ans pour remettre en place toute l’infrastructure monétaire. Alors imaginez à l’échelle de la zone euro. Par ailleurs, je rappelle que l’euro flotte toujours à environ 1,40 par rapport au dollar, ce qui n’est pas mal pour une monnaie déclarée moribonde depuis plusieurs années. Cette mort de l’euro est un pur fantasme.

D’où vient-il ?

Des grands médias et des grands acteurs économiques anglo-saxons. Le succès de l’euro va accélérer la perte d’influence de Wall Street et de la City de Londres sur les devises. La position dominante qu’ils occupent depuis deux cents ans arrive à son terme, et c’est pourquoi ils ont déclenché une guerre de communication inouïe contre la zone euro, en s’appuyant sur la crise grecque. Une crise, rappelons-le, avivée à son commencement par la banque Goldman Sachs. Le sommet de mercredi marque un coup d’arrêt pour cette propagande qui a frôlé l’hystérie collective.

La Chine propose une aide de 100 milliards d’euros, notamment pour le Fonds de stabilité. Dangereux ?

Au contraire. Elle n’est pas la seule d’ailleurs. La Russie, le Brésil sont aussi sur les rangs pour investir en Europe. Pourquoi faudrait-il avoir peur de la Chine ? Certaines voix crient au loup, alors que personne ne s’est inquiété de l’identité européenne lorsque, durant des décennies, ce rôle était joué par les Etats-Unis. Depuis le mois d’août, la Chine a mis un frein à l’achat de bons du Trésor américain. Comme d’autres pays, elle veut sortir du piège du monopole du dollar. Une Europe crédible et un euro qui sort renforcé de cette crise lui offrent cette solution.

Assiste-t-on à un basculement des alliances économiques ?

L’axe se déplace en effet, car le monde devient multipolaire. La zone euro, qui progresse vers cet « Euroland » dont nous avons besoin, est appelée à créer de nouvelles alliances avec la Chine, et d’une manière générale avec les pays émergents du BRICS. C’est ce qui effraie Wall Street et la City : que la Chine, désireuse de se diversifier, investisse davantage dans les « eurobonds », même si ce mot est tabou, que dans les bons du Trésor américain. Dans une optique écostratégique à moyen terme, l’accord trouvé à Bruxelles mercredi est un coup terrible porté à Wall Street.

Mais la Bourse de Wall Street est montée en flèche suite au sommet ?

C’est normal : depuis quelques jours, le dollar baisse face à l’euro, et quand il baisse, Wall Street monte. Ensuite, les opérateurs financiers croyaient dur comme fer au naufrage de l’euro, ils manifestent donc leur soulagement. On le sait, les Bourses ont une capacité d’anticipation égale à zéro.

Vous parlez d’« Euroland », mais n’est-ce pas une pure vue de l’esprit ?

Plus pour longtemps. C’est inéluctable. C’est l’image de la seringue : le liquide, c’est l’Europe, et le piston, la crise, qui la pousse vers la seule issue possible. Malheureusement, elle a pris du retard car les dirigeants aux commandes se sont révélés assez médiocres, sans aucune vision politique à long terme, spécialement Nicolas Sarkozy. De fait, les rôles historiques dévolus à la France, chargée de l’impulsion, et à l’Allemagne, responsable de la mise en œuvre, se sont évanouis. L’Allemagne s’est trouvée seule pour assumer les deux tâches, alors qu’elle n’a pas l’habitude d’être le leader politique de l’Europe.

Comment cette nouvelle Europe peut-elle se construire ?

2012 sera une année de crête, un point de bascule entre deux mondes, celui d’avant et celui de demain. Il faut recourir à de nouveaux outils pour décrypter, anticiper, agir et non plus réagir dans cette dislocation géopolitique mondiale. L’an prochain, il y aura des changements de leadership dans plusieurs pays, et on vient de voir que Silvio Berlusconi a quasi signé son arrêt de mort en appelant des élections anticipées pour ce printemps. Dorénavant, deux sommets de la zone euro seront organisés chaque année, et elle va se doter d’une nouvelle Constitution en 2013 ou 2014.

Celle de 2005 avait pourtant échoué…

Ce sera un texte plus simple et plus fondamental pour quelques grands axes de la zone euro. Le précédent, trop lourd, indigeste, parlait d’une Europe passée. La prochaine Constitution sera soumise à référendum, non plus pays par pays, mais lors d’un seul vote pour l’ensemble des pays de l’UE.

Comment les Etats-Unis vont-ils sortir de leur endettement ?

Pour l’heure, ils ne peuvent pas. Dès novembre, les calculs montreront que la dette a encore augmenté. Le déficit va s’accroître, ils sont dans une spirale descendante. C’est l’effondrement d’un système transatlantique, basé sur l’alliance et le leadership de Wall Street et de la City. Nous sommes à la fin d’un cycle historique, de ceux qui se déploient sur deux, trois ou quatre siècles. Les Etats-Unis ont perdu de leur puissance et de leur crédibilité sur le plan international. Et pour leurs affaires intérieures, ils ne sont plus seuls maîtres de leur destin. Les indignés de Wall Street, comme les gens du Tea Party, sont deux symptômes de la défiance des Américains envers le système en place, où démocrates et républicains sont déconnectés des citoyens. Je pronostique l’émergence d’une troisième force politique lors des élections au Congrès en 2012.

Le Matin (Suisse), 30 octobre 2011

mardi, 08 novembre 2011

Chinesisch-amerikanische Energie-Geopolitik: Der Kampf ums Erdöl im Südchinesischen Meer

Chinesisch-amerikanische Energie-Geopolitik: Der Kampf ums Erdöl im Südchinesischen Meer

Prof. Michel Chossudovsky

Zwischen China und den USA entwickelt sich ein neuer Bereich potenzieller Konfrontation.

Berichten zufolge hat der amerikanische Erdölkonzern Exxon Mobil, der von Vietnam die Erschließungs- und Förderrechte erworben hatte, beträchtliche Erdgasvorkommen vor der vietnamesischen Küste im Südchinesischen Meer entdeckt.

»Der amerikanische Erdölkonzern Exxon Mobil meldete in einer Pressemitteilung, er habe ›potentiell beträchtliche‹ Erdgasvorkommen vor der vietnamesischen Küste entdeckt: ›Wir können bestätigen, dass das Unternehmen ExxonMobil Exploration and Production Vietnam Ltd. bei seiner zweiten Probebohrung vor der Stadt Da Nang im August 2011 auf Kohlenwasserstoffe gestoßen ist.« (siehe dazu John C.K. Daly, Apocalypse Redux? U.S. Natural Gas Find off Vietnam Could Raise Tensions with China, in Oilprice.com )

In diesem Zusammenhang ist von großer Bedeutung, dass sich diese vorgelagerte Erdgasreserven zwischen der nordvietnamesischen Küste und der chinesischen Insel Hainan in einer Meeresregion befinden, die zwischen Vietnam und China umstritten ist (siehe Karte unten). Das umstrittene Gebiet besteht aus den Abschnitten 117, 118 und 119, die sich nach Angaben von Hanoi in der von Vietnam nach internationalem Seerecht beanspruchten 370 Kilometer (oder 200 Seemeilen) umfassenden ausschließlichen Wirtschaftszone (auch »wirtschaftliche Sondernutzungszonen« genannt) befinden. (siehe dazu: John C.K. Daly: ebenda.)

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/prof-michel-chossudovsky/chinesisch-amerikanische-energie-geopolitik-der-kampf-ums-erdoel-im-suedchinesischen-meer.html

Grèce : Référendum ou coup d’état?

Grèce : Référendum ou coup d’état?

Par Charles Sannat, Chargé d’affaires à BNP PARIBAS

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

Si l’annonce du référendum a semble t-il surpris tout le monde, aussi bien les marchés que les chefs de gouvernements européens, il se pourrait que cette précipitation du Premier Ministre Papandréou soit liée à d’autres raisons.

Il n’est pas anodin, loin s’en faut, que cette annonce sur la tenue d’un référendum soit concomitante au limogeage de l’ensemble de l’état major militaire.

La situation en Grèce est bien plus grave que ce qui transparaît dans nos grands médias qui effectuent une couverture a minima des évènements sociaux en cours dans ce pays. La Grèce est en réalité un pays simplement bloqué. Paralysé. Plus aucun levier de commande ne répond.

Les administrations ne travaillent plus. Les fonctionnaires occupent les locaux sans lever les impôts. Partout ce n’est que résistance passive et désobéissance civile quand ce n’est pas des affrontements plus virils entre la population et les forces de l’ordre. Les grecs rejettent les plans européens. Ce pays n’est plus aujourd’hui gouvernable.

 

L’armée y tient cependant toujours une place très particulière. Seul le temps nous permettra d’y voir plus clair dans les raisons de ces deux annonces simultanées.

Cela dit, un lien direct peu être établi entre ces deux informations. Ce qui est plus délicat c’est l’interprétation des évènements en cours.

S’agit-il d’une action politique classique où les gouvernements tentent de nommer des militaires réputés proches de leur camps? Est-ce un « accord » tacite entre le Premier Ministre Grec d’un coté et l’armée de l’autre? Ou doit-on envisager une réponse préventive d’un pouvoir politique au bord de l’effondrement face à des bruits de bottes de plus en plus insistant?

Les messages très durs lancés par l’ensemble de la classe politique dirigeante européenne (Sarkozy et Merkel en premier) s’adressent t-il au Premier Ministre grec ou à une éventuelle junte militaire qui pourrait être tentée par le non respect « des accords européens qui ne sont pas négociables ».

Autant de questions auxquelles il n’est pas possible aujourd’hui d’apporter une réponse claire mais qu’il conviendrait déjà de se poser.

Dans tous les cas ce qui se passe en Grèce doit être surveillé avec une attention toute particulière. Un coup d’État militaire dans un pays de la zone euro reste un scénario rarement évoqué. Dans les situations extrêmes, les solutions sont rarement modérées. L’histoire politique récente de la Grèce démontre que de telles tentations peuvent revenir. Hélas plus vite que l’on croit. Les implications économiques et politiques pour la zone euro sont immenses. Les « marchés » ne s’y sont pas trompés.

L’Or et l’Argent